Iran: La rivoluzione è donna! Parte II

A cura di Veronica Buonocore

Qualche giorno fa sul nostro blog vi avevamo raccontato cosa sta succedendo in Iran e come le donne siano le protagoniste di questa rivoluzione.

Oggi il nostro viaggio prosegue portandovi direttamente nel cuore della protesta attraverso le parole di una giovane attivista iraniana, che per ragioni di sicurezza preferisce restare anonima, in prima linea in queste settimane a manifestare nelle strade di Teheran.

Ecco quello che ci ha raccontato.

Rischiare tutto per la libertà: la testimonianza di un’attivista iraniana

Ciò che mi ha colpito subito di lei è stata la lucida consapevolezza di chi sa che la propria vita è a rischio ma non può sottrarsi al suo destino, che poi è quello del suo Paese e della sua gente.

Quanto si può avere sete di libertà da mettersi volontariamente in situazioni pericolose, è un qualcosa che, per chi ha il privilegio di nascere in una democrazia, resta impossibile da comprendere fino in fondo.

Ci si sente davvero impotenti di fronte a un tale coraggio, mi ha fatto ripensare ai racconti di mio nonno partigiano, un 18enne che aveva scelto di lottare per la libertà del suo Paese.

Al momento del nostro incontro, la giovane attivista si trova momentaneamente in Europa presso un’organizzazione internazionale per portare una testimonianza diretta di quello che sta accadendo in Iran.

Immediatamente, mi confessa di avere incrociato lo sguardo di un rappresentante governativo del suo Paese mentre rilasciava la sua testimonianza, e di essersi sentita incenerita, “sembrava volesse uccidermi” sono le sue parole.

E purtroppo non è un eufemismo.

Nessun* sa cosa le succederà quando varcherà di nuovo le porte dell’Iran, “potrei essere arrestata già all’aeroporto”, racconta con voce tremante ma allo stesso tempo risoluta.

D: Raccontaci un po’ di te e della tua vita in Iran

Sono nata e cresciuta in Iran ma, dato il mio background in studi internazionali, ho avuto la possibilità di girare in vari Paesi per lavorare in progetti a sostegno dei rifugiati.

Avevo trovato lavoro presso un’agenzia governativa a Teheran ma me ne sono andata perché non riuscivo a sopportare l’eccesso di regole ed imposizioni a cui ero sottoposta.

Ora sto collaborando da remoto con un’organizzazione internazionale e sono stata ammessa ad un Master presso un’università europea che inizierà nel 2023 ma non so cosa succederà nei prossimi mesi.

Vivere in Iran è difficile non solo per le donne ma per qualunque essere umano, perché non è uno Stato democratico ma una dittatura.

Ad esempio, tutti i ragazzi al compimento della maggiore età sono costretti a fare il servizio militare prima di poter essere autorizzati a viaggiare all’estero.

Certo, per noi ragazze è ancora più complicato perché il Governo è fortemente misogino e patriarcale.

Le donne non hanno il permesso di uscire dal Paese senza l’autorizzazione di un membro maschile della famiglia e non possono neppure aprire un conto corrente, ogni autonomia di espressione è negata.

Ci sono ovviamente delle differenze fra le aree rurali, dove la donna viene considerata solo in quanto sposa e madre e vive la sua esistenza incasellata in questi ruoli, e le grandi città come Teheran, in cui la popolazione femminile è più emancipata ma deve comunque sottostare a regole ben precise, come l’obbligo di indossare il velo.

Anzi, per certi versi in città è più difficile perché le ragazze sono più inclini a ribellarsi all’autorità e devono prestare attenzione alla polizia morale (composta anche da donne), che vigila sui comportamenti “scorretti” e sequestra con violenza le persone che non si conformano, proprio come è successo a Mahsa Amini.

D: Com’è la situazione delle proteste al momento in Iran?

Ci sono tantissime persone nelle strade e nelle piazze, io stessa prima di venire qui ho manifestato in diverse occasioni con i miei amici ed amiche, e non vedo l’ora di tornare a farlo, anche se siamo stati picchiati dalla polizia con bastoni e attaccati con proiettili di plastica e lacrimogeni.

Le proteste stanno continuando in tutte le città e purtroppo un mio amico stretto è stato arrestato per strada proprio mentre io ero qui, stanno uccidendo persone per strada.

Quello che mi preoccupa poi è che il Governo ha bloccato l’accesso ad Internet e ai social network, per cui comunicare al mondo quello che sta accadendo sta diventando sempre più difficile, anche se stiamo cercando di aggirare la censura e il blocco attraverso le VPN.

D: Pensi che la protesta sia l’inizio di una rivoluzione e di una svolta democratica per l’Iran?

Sono molto ottimista sull’esito di questa grandiosa resistenza collettiva, è la prima volta in 40 anni che la popolazione continua a protestare ininterrottamente da settimane contro il Governo.

Le donne e la generazione più giovane hanno innescato la miccia della protesta ma stanno trascinando l’intera popolazione, molti amici uomini stanno scendendo in piazza al nostro fianco e anche le persone più anziane come i nostri genitori, più conservatori e religiosi, per la prima volta sono con noi.

Probabilmente ci vorranno un paio d’anni e sacrificheremo molto, anche in termini di vite, ma non ci potranno fermare.

L’uccisione di Mahsa Amini è stato solo il pretesto ma l’obiettivo della rivolta è rovesciare il regime.

D: Secondo te il mondo si sta mobilitando a sufficienza per l’Iran?

Penso che tutto il mondo sia ben consapevole di quanto stia accadendo nel mio Paese, le immagini delle proteste sono ovunque anche grazie ai social network, e le persone sono con noi.

Anche alcune celebrità come Angelina Jolie e Bella Hadid stanno facendo molto per mantenere alta l’attenzione sull’Iran, così come Roger Waters, che nei suoi ultimi concerti sta dando voce a testimonianze di giovani iraniani.

Non sento invece la stessa vicinanza da parte dei Governi, ad esempio il nostro Presidente una settimana fa è stato invitato a parlare all’ONU ed è stato fotografato mentre faceva shopping nei costosi mall americani, mentre il popolo soffre a causa delle sanzioni imposte dagli USA, ci mancano persino le medicine. Trovo vergognoso che gli Stati Uniti diano spazio a un assassino come il nostro Presidente Ebrahim Raisi, che sta reprimendo le proteste nel sangue.

D: Ci racconti qualcosa di più sul gesto che è diventato il simbolo di questa protesta, ovvero il taglio dei capelli da parte delle donne iraniane?

Onestamente all’inizio non mi sembrava un bel gesto, proprio perché in qualche modo comporta una rinuncia da parte delle donne alla propria femminilità.

Sono ben consapevole tuttavia del fatto che il taglio dei capelli in caso di lutto è un simbolo radicato nelle tradizioni iraniane e simboleggia appunto la tristezza causata dalla perdita.

Il gesto poi è diventato subito virale sui social network e sta sicuramente contribuendo a diffondere la protesta, per cui qualsiasi cosa che possa aiutare la nostra causa è sicuramente da incoraggiare.

D: Qual è la tua opinione sull’uso dell’hijab?

Provenendo da una famiglia conservatrice ed avendo frequentato scuole religiose, ho sempre indossato l’hijab con convinzione fino a poco tempo fa, anche perché in Iran per una donna uscire di casa senza indossarlo è vietato e perseguibile penalmente. Ora non lo porto più perché al momento la religione non ha molto significato per me ma la protesta non riguarda l’uso del velo in sé, quanto piuttosto la sua imposizione.

Ci sono diverse manifestanti che, durante le proteste, bruciano pubblicamente i loro hijab ma allo stesso tempo ammiro le donne che, seppur credenti, si stanno togliendo il velo per solidarietà alla rivolta, o le fabbriche che stanno interrompendo la produzione di hijiab in segno di protesta.

Questi sono tutti atti di grande coraggio, che in Iran possono comportare l’immediato arresto o uccisione.

D: Cosa possiamo fare in concreto per aiutare la popolazione iraniana?

Al di là di partecipare alle manifestazioni che si stanno organizzando in tutti i Paesi, lo strumento più importante che abbiamo è la voce, ognun* di noi raccontando quello che sta succedendo in Iran ad altre persone, anche utilizzando i social network, può contribuire a mantenere alta l’attenzione e rompere il silenzio e l’indifferenza.

Ma prima di concludere, ha ancora urgenza di dirmi:

Non voglio scappare dal mio Paese. È troppo importante essere qui, se non ora, quando? Se per l’Iran c’è un futuro, lo dobbiamo costruire ora.

E ci lasciamo così, con profonda commozione e senza altre parole.

Non possiamo che essere tutt* con lei, con l’intero Iran che ha sete di libertà.

Iscriviti alla nostra Newsletter!
Ho letto e accetto i termini e le condizioni