Iran: La rivoluzione è donna!

A cura di Veronica Buonocore

Cosa sta succedendo in Iran?

Da qualche settimana in Iran soffia il vento della rivoluzione.

Una rivoluzione infiammata dalle donne.

Tutto ha inizio il 17 settembre scorso durante i funerali della 22enne Mahsa Amini, arrestata 3 giorni prima a Teheran dalla cosiddetta polizia morale iraniana per non aver rispettato l’obbligo di indossare il velo correttamente. Secondo alcuni testimoni oculari, Mahsa Amini viene picchiata violentemente e trasferita con la forza prima in un centro di detenzione a Teheran e, dopo poche ore, all’ospedale, dove entra in coma e muore dopo 3 giorni.

Le autorità iraniane negano immediatamente qualsiasi illecito ma questo non è sufficiente a fermare le numerose mobilitazioni popolari, che iniziano a dilagare a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo ogni angolo della società civile.

La miccia si è accesa.

Le donne guidano questa rivolta collettiva al grido di “Donne, Vita, Libertà”, i loro hijab bruciati al vento e le loro ciocche di capelli recise divengono ben presto il simbolo di una rivoluzione appena iniziata, che sta coinvolgendo persino le studentesse delle scuole superiori.

Una lotta per conquistare diritti e libertà negati ormai da troppi anni, che non accenna a placarsi, nonostante la dura reazione del regime: blocco di Internet per togliere visibilità alla protesta, arresti indiscriminati e violenze sui/sulle manifestanti.

Il bilancio è già gravissimo: ufficialmente le vittime durante gli scontri con la polizia sarebbero 83 (compres* alcun* bambin*) e gli arresti oltre 3000 ma i numeri reali sono di sicuro più alti, almeno 185 i morti secondo la Ong Iran Human Rights (Ihrngo). È di qualche giorno fa la notizia di un’altra brutale uccisione: il corpo di Nika Shakarami, 17 anni, scomparsa dopo aver partecipato a una manifestazione a Teheran, è stato ritrovato dalla sua famiglia con evidenti segni di aggressione.

Ma neanche il pericolo di morte può fermare la rivoluzione.

Il popolo iraniano è giovanissimo – il 75% della popolazione ha meno di 35 anni – e desidera un cambiamento radicale per il proprio Paese.

Già, perché sono più di 40 anni, da quando è stata instaurata la Repubblica Islamica, che in Iran diritti e libertà vengono costantemente repressi, ed essere donna è un inferno.

Essere donna in Iran

Le donne iraniane sono regolarmente oggetto di molestie verbali e aggressioni fisiche da parte della polizia, viene ordinato loro di sistemare il velo per nascondere i capelli e viene imposto l’uso di fazzolettini per pulirsi il trucco davanti agli agenti della polizia morale.

Se non obbediscono, vengono afferrate per le braccia, schiaffeggiate, colpite con pugni e manganelli, ammanettate e spinte violentemente contro furgoni della polizia o, nei casi peggiori, arrestate arbitrariamente.

Ai sensi del codice penale islamico iraniano, infatti, qualsiasi atto ritenuto “offensivo” per la pubblica decenza è punito con la reclusione da 10 giorni a 2 mesi, o 74 frustate. Una nota esplicativa all’articolo afferma che le donne che vengono viste in pubblico senza il velo devono essere punite con una reclusione da 10 giorni a 2 mesi o una multa in contanti.

La legge si applica alle ragazze a partire dai 9 anni di età ma di fatto le autorità impongono il velo obbligatorio alle ragazze dall’età di 7 anni, quando iniziano la scuola elementare.

In questi anni, a milioni di donne iraniane è stato negato l’ingresso in spazi pubblici come aeroporti, campus universitari, centri ricreativi, ospedali e uffici governativi; inoltre, a migliaia sono state espulse da scuole e università o licenziate per ragioni arbitrarie come i capelli che sporgono dal velo, il trucco che sembra “pesante” o i pantaloni, il velo e i soprabiti corti, attillati o colorati.

Lo testimoniano alcune storie come quella di Nasrin Sotoudeh, coraggiosa difensora dei diritti umani, condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate per aver difeso una donna arrestata per aver manifestato contro l’obbligo di indossare il velo.

Oppure Yasaman Aryani, che l’8 marzo del 2019, insieme ad altre attiviste, a capo scoperto ha regalato dei fiori nei vagoni della metropolitana di Teheran riservati alle donne, parlando dei loro diritti negati. Il video di quest’azione ha fatto il giro del mondo e la reazione delle autorità non si è fatta attendere. Ad appena 24 anni, Yasaman è stata condannata a 16 anni di carcere.

Darya Majidi: vi racconto il mio Iran

Per comprendere meglio la storia dell’Iran e il ruolo delle donne nei moti di protesta che hanno attraversato il Paese, abbiamo fatto due chiacchiere con Darya Majidi, padre iraniano e mamma italiana, imprenditrice e Presidente di Donne 4.0, associazione italiana che si pone come mission il superamento del gender gap attraverso le tecnologie digitali.

D: Tu sei nata in un Iran molto diverso da quello attuale. Ci racconti quali sono le radici storiche della Rivoluzione Islamica del 1979?

Ci tengo subito a dire che io ho avuto la fortuna di nascere e crescere a Teheran in un contesto privilegiato ed internazionale; è vero però che, durante il regno dello Scià, le donne iraniane godevano di molte libertà, potevano studiare e viaggiare, a differenza di adesso.

A mio avviso, lo Scià ha commesso però un grande errore, che ha condotto alla Rivoluzione Islamica: imporre il divieto assoluto di utilizzo del velo, senza prestare ascolto ed importanza alla voce delle donne più anziane, che desideravano davvero indossare il chador, sottovalutando l’influenza del clero.

È importante ricordare che le donne iraniane, colte ed istruite, anche nel 1979 avevano avuto un ruolo fondamentale nello scoppio della rivoluzione ed erano scese in piazza per chiedere libertà, proprio come oggi, non rendendosi conto che dopo pochi giorni l’avrebbero persa per sempre.

La repressione della dittatura teocratica contro le donne è iniziata da subito; pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo regime è stata istituita l’obbligatorietà del velo e lo slogan della neocostituita polizia morale era: “O ti copri la testa, o ti do una botta in testa!”.

L’escalation di violenza crescente ha costretto la mia famiglia ad abbandonare per sempre l’Iran; fortunatamente siamo riusciti a scappare subito in Italia – il Paese di mia madre – in quanto classe istruita ed agiata ma c’è chi non ha avuto lo stesso privilegio.

Purtroppo, fino a quando al potere ci saranno regimi teocratici dittatoriali, non potrò mai ritornare in Iran, rischierei la condanna per apostasia perché da cittadina iraniana non ho cresciuto i miei figli come musulmani.

Ovviamente il mio desiderio è tornare e sono sicura che succederà prima o poi, che porterò mia figlia in Iran.

D: Come ci hai raccontato tu stessa, non è la prima volta che le donne in Iran manifestano per chiedere libertà. Che cosa vedi di diverso in queste proteste rispetto al passato? Credi che potrebbe essere l’inizio di una nuova rivoluzione democratica per l’Iran?

È bellissimo vedere che oggi gli uomini sono al fianco delle donne, stanno accanto alle loro sorelle, proprio come racconta la canzone diventata simbolo della protesta “Baraye“, in cui il cantante Shervin Hajipour (ora in arresto) ha fatto un collage dei messaggi di dissenso che gli Iraniani e le Iraniane hanno postato sui social; il filo conduttore del brano è il motivo per cui le persone hanno scelto di scendere in piazza: “Per mia sorella. Tua sorella. Le nostre sorelle“.

Ascoltare un uomo che parla di sorellanza è stupendo!

Sono convinta che il popolo iraniano abbia tutta l’energia per farcela e mi auguro che il Governo ascolti le istanze delle donne e la protesta trasformi l’Iran in una democrazia, che garantisca elezioni vere, apertura mentale e rispetto dei diritti umani, a prescindere da chi sia al potere.

Sono consapevole di trovarmi in una posizione comoda e sicura, mentre le giovani donne che stanno mettendo a rischio le loro vite per manifestare sono arrivate al culmine della sopportazione e chiedono con urgenza un cambiamento repentino. Hanno tutta la mia comprensione, perché il trattamento riservato alle donne in Iran è totalmente anacronistico, pensate che valgono la metà di un uomo di fronte a un tribunale!

Tuttavia, auspico che la transizione sia graduale e non ci sia un’escalation militare, che rischierebbe di far precipitare il Paese in una guerra civile, o ancor peggio interventi militari esterni, ad esempio da parte degli Stati Uniti come è accaduto in Siria, e proprio per questo dobbiamo essere cauti nel chiedere l’intervento delle Nazioni Unite. La storia ci insegna che quando i cambiamenti sono sanguinari e repentini possono portare a situazioni altrettanto pericolose, dobbiamo dire alle donne iraniane di fare attenzione a non essere strumentalizzate come è già accaduto in passato.

D: Da esule, come stai cercando di contribuire a tenere accesa la voce su quello che sta accadendo nel tuo Paese?

Come Iraniana e Presidente di Donna 4.0, ovviamente non potevo restare in silenzio di fronte a quanto sta accadendo.

È sotto gli occhi di tutti come le tecnologie si stiano rivelando uno strumento di denuncia importantissimo, pensiamo solo alle ragazze giovanissime che con grande coraggio diffondono notizie sulle proteste tramite TikTok.

Proprio per questo, con Donna 4.0 abbiamo lanciato un appello per chiedere che i social non vengano chiusi e non ci sia uno shutdown completo della rete.

Inoltre, abbiamo aderito alla campagna che sta circolando sui social in queste settimane, filmandoci mentre ci tagliamo i capelli, e invito tutte le associazioni che promuovono i diritti delle donne ad unirsi a quest’iniziativa.

È importante che le giovani donne in tutto il mondo capiscano cosa sta accadendo ad altre loro coetanee, non solo condividendone le battaglie ma anche creando contenuti che amplifichino le loro storie.

È fondamentale creare una consapevolezza e sorellanza collettive, e in questo la connettività e la tecnologia possono fungere da ponti per la libertà e per il suggellamento di un patto mondiale tra donne attraverso la sorellanza tecnologica, come spiego nel mio libro “Sorellanza Digitale: Femminismo 4.0 tecnologico e inclusivo per una nuova alleanza tra donne e uomini” (2020).

D: Ti andrebbe di condividere con le nostre socie una lista di libri per approfondire meglio la storia e la cultura dell’Iran?

Certamente, ce ne sono molti ma vi consiglio:

  • Intervista con la Storia” di Oriana Fallaci (1974), in cui è inclusa la celebre intervista della Fallaci all’ayatollah Khomeini
  • Persepolis” di Marjane Satrapi (2002-2004), una graphic novel che racconta la Rivoluzione Islamica in Iran vista dagli occhi di una bambina e adolescente
  • Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi (2004), la storia di una professoressa che segretamente tiene alcuni seminari di letteratura nella sua casa a Teheran ad alcune giovani donne, discutendo di libri proibiti dal regime
  • I miei due libri “Donne 4.0: Riflessioni di una imprenditrice e mamma digitale nata nel 1968” (2018) e “Sorellanza Digitale: Femminismo 4.0 tecnologico e inclusivo per una nuova alleanza tra donne e uomini” (2020); in entrambi, c’è anche il racconto della mia vita in Iran.

Quello che avete appena letto è il punto di vista di una donna iraniana che vive nel nostro Paese, e osserva da qui le richieste di cambiamento delle nuove generazioni.

Ma non finisce qui!

Nella prossima puntata ascolteremo la voce di una giovane attivista iraniana, in prima linea in queste settimane a manifestare nelle strade di Teheran.

Stay tuned!

Fonti

https://www.amnesty.it/appelli/iran-proteggere-il-diritto-di-protesta/

https://www.ilpost.it/2022/10/03/iran-proteste-universita/

https://www.startmag.it/mondo/iran-proteste-intervista-pedde/

https://www.repubblica.it/esteri/2022/10/04/news/iran_trovato_corpo_17enne_scomparsa_durante_proteste-368581271/

https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/iran-proteste-cosa-succede

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