A cura di Veronica Buonocore
La decisione della Corte Suprema: abolizione della sentenza “Roe vs. Wade”
Qualche mese fa avevamo parlato sul nostro blog di obiezione di coscienza e diritto all’aborto, sottolineando come fosse sotto attacco in vari Paesi del mondo.
L’aria era già pesante negli Stati Uniti, dove da decenni l’aborto è al centro del dibattito politico e viene smontato pezzo dopo pezzo, in particolare grazie all’appoggio del Partito Repubblicano ai movimenti anti-abortisti volto ad assicurarsi i voti dell’elettorato religioso conservatore.
Se volete scoprire di più, vi suggerisco di guardare il documentario di Netflix “Reversing Roe. La Questione dell’Aborto negli Stati Uniti”, che racconta molto bene gli intrecci tra politica, religione ed aborto.
Ma come è stato possibile tutto questo?
Facendo ricorso ad una strategia meschina e subdola: non proibire del tutto l’aborto ma depotenziarlo progressivamente attraverso l’emanazione di norme costrittive e difficili da rispettare, soprattutto per le donne appartenenti a minoranze, sole ed emarginate.
Il Centers for Disease Control and Prevention stima infatti che più di un terzo delle pazienti che accedono all’aborto negli Stati Uniti siano donne nere.
Pensate che, dal 1973 ad oggi, negli Stati Uniti sono state approvate circa 1300 leggi che cercano di ostacolare il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, costringendo le donne a viaggiare migliaia di chilometri per trovare assistenza.
In 5 Stati esiste solo una clinica pro-aborto e il 90% delle contee statunitensi non ha cliniche in grado di praticare un aborto, per cui non è difficile parlare di una negazione nei fatti dell’accesso al diritto di aborto.
Pur non giungendo quindi come un fulmine a ciel sereno, quello che è successo venerdì 24 giugno 2022 ha lasciato sconvolto il mondo intero (e la sottoscritta che si è trovata paralizzata a piangere su un divano).
Lo scellerato disegno orchestrato abilmente dalla destra conservatrice si è compiuto, proprio nel Paese a cui guardiamo con ammirazione e che viene spesso definito “la più grande democrazia dell’Occidente” o “il Paese dalle infinite possibilità”.
Già, ma solo se sei uomo, bianco, cisgender e, requisito fondamentale, ricco.
Ma come possiamo davvero ritenere degno di democrazia e dignità un Paese in cui 6 persone hanno deciso del corpo, della salute, delle libere scelte di 40 milioni di donne, nonostante il 57% degli/delle American* resta comunque favorevole al diritto all’aborto?
Un Paese in cui la storica sentenza “Roe v. Wade” del 1973, grazie alla quale l’aborto era stato garantito come diritto a livello costituzionale, è stata ribaltata come un calzino, liquidando in maniera arbitraria e violenta decenni di lotte femministe per affermare un diritto fondamentale all’autodeterminazione?
“Ho il cuore spezzato“
ha dichiarato Michelle Obama.
E noi con lei nel vedere le immagini giunte da Washington, dove migliaia di donne subito dopo il diffondersi della notizia hanno iniziato a radunarsi di fronte alla Corte Suprema, brandendo cartelli di protesta e urlando al mondo la loro rabbia e tristezza in questa buia giornata.
E adesso cosa succede?
Ora i singoli Stati americani potranno legiferare in maniera indipendente sull’interruzione volontaria di gravidanza, fino a negarla del tutto, trasformandola in reato.
La decisione, frutto della volontà di controllare il corpo delle donne, viene spacciata come una tutela del diritto alla vita e dell’infanzia, con un paternalismo ed ipocrisia che fanno orrore.
Che infanzia felice ci potrà mai essere per un/una figli* indesiderat* o che vive in condizioni di precarietà economica e sociale? Quali opportunità o tutele potranno essere garantite?
Possiamo fermarci anche solo per un attimo a pensare alle conseguenze fisiche e psicologiche del dover essere costrette a subire sulla propria pelle una decisione presa da altr*?
A chi piacerebbe che fosse inflitto sul proprio corpo un trattamento sanitario in maniera coercitiva, senza possibilità di scelta?
E vogliamo parlare inoltre del diritto alla salute e alle vite delle donne, che saranno messe in pericolo dal ricorso alle pratiche clandestine di interruzione di gravidanza, una delle cause principali di morte femminile per secoli?
Vogliamo davvero che le donne tornino ad assumere intrugli casalinghi o, ancor peggio, infilarsi ferri o grucce negli organi riproduttivi per abortire, rischiando infezioni, disabilità o morte?
Perché la necessità di ricorrere all’interruzione di una gravidanza non scomparirà.
Le fortunate che potranno permetterselo saliranno a bordo di un aereo per recarsi negli Stati progressisti che continueranno a garantire il diritto all’aborto.
Le donne più fragili, culturalmente ed economicamente, cercheranno strade alternative ed illegali. Non trovandole, porteranno a termine gravidanze indesiderate, condannando sé stesse e nuove vite ad emarginazione e sofferenza.
Non dimentichiamo infatti che negli Stati Uniti avere un/una figli* può implicare spese fino a 30mila dollari solo per partorire e gli Stati dove l’aborto è osteggiato sono anche quelli dove l’assicurazione sanitaria pubblica copre meno i cittadini.
Le donne povere e non assicurate, insomma, saranno costrette ad avere figli/figlie e affrontare da sole le spese.
Bellissimo in questo senso il discorso pronunciato dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez subito dopo la sentenza, che denuncia come la sacralità della vita non sia in realtà lo scopo della decisione, altrimenti si sarebbe votato a favore di una copertura sanitaria universale per i minori o della regolamentazione del possesso di armi.
La stima è che il diritto all’aborto diventerà inaccessibile o sottoposto a rigidissime condizioni in almeno la metà degli Stati americani, innescando una crisi sanitaria senza precedenti.
Ne stiamo già vedendo le conseguenze in questi giorni. Subito dopo la decisione della Corte Suprema, già 13 Stati conservatori del Sud e del Midwest si sono pronunciati per un divieto assoluto, mentre un’altra dozzina si appresta a varare leggi proibitive. Ad esempio il Missouri ha già introdotto il divieto assoluto di aborto, salvo in caso di pericolo di vita o gravissimo pericolo per la salute della gestante.
Ma l’abolizione o restrizione del diritto all’aborto non ha solo conseguenze sanitarie. Negli Stati in cui vigerà un diritto assoluto di interruzione volontaria della gravidanza, l’aborto sarà considerato un reato e le donne che proveranno a ricorrervi, così come il personale sanitario coinvolto, saranno penalmente perseguibili.
Inoltre, i dati e le informazioni personali raccolte da app e siti web, sui motori di ricerca, i dati di location, o i dati ricavati da applicazioni come quelle per tracciare il ciclo mestruale potranno essere legalmente venduti a terze parti, come avviene nella prassi del commercio elettronico.
Ma nel caso delle donne che cercano di abortire, il tracciamento e la condivisione di informazioni di identificazione personale potrebbero diventare un problema critico per la privacy.
Informazioni sensibili riguardo alle scelte riproduttive delle donne o delle persone che le hanno aiutate ad interrompere una gravidanza potrebbero infatti essere acquisite da gruppi contrari all’aborto o dalle forze dell’ordine, ed utilizzate in procedimenti giudiziari, scatenando una vera e propria caccia alle streghe.
Fa ben sperare la decisione di qualche giorno fa di Google di cancellare automaticamente i dati di localizzazione degli/delle utenti che visitano una clinica dove viene praticato l’aborto, mentre Meta ancora non si è espressa in tal senso.
Ma la lotta è appena cominciata.
Cosa possiamo fare in concreto?
Vi lascio di seguito il link a un interessante articolo che raccoglie 10 associazioni a sostegno del diritto all’aborto in USA e in Italia: https://www.nssgclub.com/it/lifestyle/30239/roe-vs-wade-associazioni-diritto-aborto-stati-uniti-italia
L’aborto (ma non solo) è sotto attacco: inizia la lotta!
Quello che è successo in America ci ha fatto toccare con ferocia la fragilità dei diritti, che possono volare via come polline nel vento, soffio dopo soffio e senza fare rumore.
Ma la verità è che, nonostante rappresentiamo oltre la metà del genere umano (e ci chiamano ancora minoranza!), se ci pensate bene siamo costantemente sotto attacco.
Siamo sotto attacco quando disputano battaglie sui nostri corpi, sentenziando quello che dovremmo fare o non fare, passandoci sopra come carri armati.
Siamo sotto attacco quando vogliamo abortire e dobbiamo cambiare ospedale, città o Regione perché tutto il personale sanitario è obiettore.
Siamo sotto attacco quando ci dicono di abbassare i toni perché se no sembriamo aggressive. Chissà perché invece gli uomini sicuri li definiscono autoritari.
Siamo sotto attacco quando ci dicono “Ma perché sostieni le quote di genere? Così non conta più il merito!”
Siamo sotto attacco quando ci propinano la solita stanca litania della maternità come unico obiettivo di vita e realizzazione femminile. Invece chi non ne vuole sapere è considerata una donna a metà.
Siamo sotto attacco quando l’ennesimo uomo ci vuole spiegare con superiorità le cose, perché ovviamente il punto di vista universale è quello patriarcale.
Siamo sotto attacco quando ci dicono “Io ho sempre rispettato le donne” ma poi a fare le battaglie ci ritroviamo sole.
Siamo sotto attacco quando abbiamo paura a camminare per strada la sera tardi e chiamiamo qualcun* al telefono perché “non si sa mai cosa potrebbe succedere”.
Siamo sotto attacco quando ci dicono “Ma perché ti interessa tanto farti chiamare avvocata? Non sono queste le battaglie importanti!”
Siamo sotto attacco quando ci imputano le colpe dei cali di natalità ma non riescono ad impedire a una donna di dover scegliere tra lavoro e maternità.
Siamo sotto attacco quando sulla metropolitana si siede vicino a noi il solito uomo che allarga le gambe e noi ci rimpiccioliamo.
Siamo sotto attacco quando ci suggeriscono come dovremmo vestirci, invece che insegnare agli uomini a non molestare, insultare, stuprare.
Siamo sotto attacco quando veniamo uccise e i media tuonano “è stata la gelosia” o “lei lo voleva lasciare”.
Siamo sotto attacco quando ci dicono che essere ambiziose è un difetto, mentre chissà perché negli uomini è considerata una virtù.
Siamo sotto attacco quando ci fischiano per strada e dovremmo pure mostrarci orgogliose (perché si sa lo scopo è piacere al maschio e non a noi stesse)!
Siamo sotto attacco quando non riconoscono la nostra professionalità, chiamandoci solo per nome o etichettandoci come “mamme”, poco importa se siamo qualificate tanto quanto o più di un uomo.
Siamo sotto attacco quando ci chiedono perché siamo arrabbiate ma provate voi a dover lottare tutti i giorni per conquistare spazio in un mondo costruito a misura maschile.
Siamo sotto attacco quando veniamo invitate a conferenze e panel in cui ci ritroviamo ad essere le uniche donne e senza pudore ci dicono “non abbiamo trovato un’altra donna esperta!”
Siamo sotto attacco quando a parità di condizioni ci pagano meno del nostro collega.
Siamo sotto attacco quando ci tarpano le ali da bambine, raccontandoci che esistono giochi, colori e universi da femmine e da maschi, e che dobbiamo scegliere da che parte stare.
Ma noi siamo abituate a lottare, lo facciamo dalla nascita.
E non arretreremo di un centimetro.
La nostra lotta non finirà mai finché non avremo spezzato le catene del patriarcato e saremo tutte libere.
“Nolite Te Bastardes Carborundorum”
“Non Lasciare che i Bastardi ti Annientino”,
come diceva Margareth Atwood, nota scrittrice e compagna di lotte femministe.
Perché Gilead (n.b. la dittatura teocratica immaginaria descritta ne “Il Racconto dell’Ancella”) potrebbe essere più vicina di quanto ci immaginiamo.
Fonti
“L’Atalante delle Donne”, Joni Seager, Add Editore, 2020
“Il Racconto dell’Ancella”, Margareth Atwood, Ponte Alle Grazie, 2017
“We Are Not Going Back to the Time Before Roe. We’re Going Somewhere Worse”, Jia Tolentino, The New Yorker, 24/06/2022
“Aborto in Usa: le conseguenze giuridiche dopo la caduta della sentenza Roe v. Wade”, Valeria Cianciolo, NT+ Diritto, Il Sole 24 Ore, 30/06/2022