Rupi Kaur: una giovane poetessa non convenzionale

A cura di Veronica Buonocore

il mio cuore si strugge per le sorelle più di ogni altra cosa

desidera che le donne aiutino altre donne

come i fiori desiderano la primavera

Rupi Kaur è una giovane e non convenzionale poetessa, illustratrice e performer, consapevole del potere della sua voce, promotrice della sorellanza e capace di trasformare in poesia argomenti raramente trattati e scomodi quali la violenza sessuale, la depressione, il ciclo mestruale e la masturbazione.

Un corpicino esile ed elegante da cui scaturisce una voce potente, che scava nelle viscere, proprio come le parole delle sue poesie, taglienti e conturbanti, pietre che cercano di lapidare i traumi subiti e balsamo per l’anima.

Una storyteller formidabile, dotata di una voce magnetica e musicale che ti avviluppa nel vortice delle sue narrazioni tentacolari, dalle quali non riesci a distogliere l’attenzione e resti ipnotizzat* (provate a cercare su YouTube una sua performance dal vivo in cui racconta le proprie poesie e capirete di cosa sto parlando!).

Rupi Kaur è tutte queste cose mescolate insieme e molto di più, contaminazione la parola che sembra esserle stata cucita addosso.

Originaria della regione indiana del Punjab ma canadese di adozione, dopo essere emigrata nella patria dello sciroppo d’acero con la famiglia, Rupi Kaur a soli 5 anni inizia a disegnare le proprie emozioni su carta, dando vita a collage evocativi che raccontano i suoi stati d’animo e conferiscono alla sua scrittura una grande originalità, in quanto le parole sono accompagnate da illustrazioni che ne amplificano il messaggio e la portata.

Non è esagerato affermare che Rupi Kaur abbia portato una vera e propria rivoluzione nel tradizionale mondo della poesia, frantumando stereotipi.

Innanzitutto in quanto poetessa donna, giovane e di seconda generazione, capace di vendere milioni di copie in tutto il mondo, un caso editoriale unico nel suo genere, se si pensa che i libri di poesie vendono solitamente poche migliaia di copie. Pensate che la sua prima raccolta di poesie “Milk and Honey”, auto-pubblicata dall’autrice stessa nel 2014, è diventata un successo planetario e best-seller nella classifica del New York Times, oltre che libro per adulti più letto nel 2017 negli Stati Uniti. A questo inaspettato e travolgente successo ne sono seguiti altri due, “The Sun and her Flowers” e “Homebody”.

Altro primato che spetta a Rupi Kaur è quello di essere stata una delle prime Instapoet, ovvero poeti e poetesse che pubblicano i propri versi sui social network; alcuni versi del suo primo libro, infatti, erano già stati postati su Instagram corredati dai caratteristici disegni ben prima che “Milk and Honey” vedesse la luce.

E proprio i social network sono un mezzo che Rupi Kaur utilizza non solo per diffondere la sua poesia ma anche per realizzare performance artistiche. Particolare clamore ha suscitato il lavoro intitolato “The Period”, composto da sei fotografie pubblicate su Instagram che la ritraevano con macchie di sangue sui vestiti e lenzuola, allo scopo di denunciare lo stigma tuttora esistente nei confronti del ciclo mestruale in alcune società, in cui le donne non sono autorizzate a uscire di casa, nemmeno per andare a scuola, perché considerate sporche.

Ma aspetto più significativo, grazie all’immediatezza ed apparente semplicità delle sue parole, Rupi Kaur è riuscita nell’impresa di rendere pop la poesia, svuotandola dell’impenetrabilità e complessità di linguaggio, rendendola fruibile ed accessibile ad un vasto pubblico, arrivando dritta al cuore di chi legge.

Particolarmente interessante è il fatto che il lavoro di Rupi Kaur sia scritto esclusivamente in minuscolo, come nell’alfabeto indiano Gurmukhi, un modo per onorare la sua cultura e al tempo stesso una dichiarazione d’amore per l’uguaglianza delle lettere, che in questa lingua sacra hanno tutte la stessa importanza. Per l’autrice, la poesia deve essere un’esperienza inclusiva e facile da seguire per il/la lettore/lettrice, e i semplici disegni che la contornano hanno la funzione di mettere in evidenza le parole.

Ciò che colpisce subito leggendo Rupi Kaur è senza dubbio la capacità di parlare a tutt* con profonda incisività di esperienze intime ma al contempo universali quali la perdita e l’abbandono, l’amore, il trauma e soprattutto la consapevolezza del proprio valore e l’auto-accettazione, elementi frequenti e centrali della sua poetica.

Le 3 opere della poetessa, infatti, seguono uno schema ricorrente, un flusso di coscienza che potremmo facilmente riconoscere come parte dell’esperienza di vita di ognun* di noi, un viaggio alla ricerca e scoperta del nostro io più interiore attraverso piccole gocce di amore verso noi stess*, i nostri corpi e l’indipendenza di pensiero.

E questo percorso necessariamente parte dal fondo delle nostre paure più recondite attraverso la sofferenza, il senso di abbandono ed esclusione che accompagna ogni essere vivente, anche se è innegabile che la prospettiva di Rupi Kaur sia spiccatamente femminile.

Ed ecco che con crudezza viene rappresentata l’oggettivizzazione del corpo della donna come contenitore vuoto, dimenticato in un angolo con noncuranza al termine di un rapporto sessuale, e viene ribadita l’importanza di insegnare alle bambine anche a dire “no” e diffondere la cultura del consenso, come in questi potentissimi versi:

[…]

non mi assoggetterò alla loro ideologia

perché lo slut-shaming è cultura dello stupro

gli encomi alla verginità sono cultura dello stupro

io non sono un manichino nella vetrina

del tuo negozio preferito

non puoi vestirmi o

sbattermi fuori quando sono consunta

non sei un cannibale

delle tue azioni non devo rispondere io

devi controllarti tu

[…]

Particolarmente toccanti in questo senso sono altresì le parole scelte dall’autrice per tradurre in poesia una violenza sessuale realmente subita, oggetto anche del celebre Ted Talk “I’m taking my body back” (20 minuti di pura emozione!), che ci restituiscono senza fronzoli il senso di vuoto, vergogna e colpa che attanaglia le donne vittime di violenza.

Anche lo spazio riveste un ruolo molto importante, in quanto la poetessa descrive come spesso le donne si imprigionino volontariamente in un silenzio forzato, comprimendosi per non occupare lo spazio intorno, appannaggio degli uomini. A questo proposito, viene esaltata la figura della madre, sottomessa all’autorità maschile, contrapposta a quella paterna, oggetto di un rapporto conflittuale basato sul timore reverenziale. In tutti i suoi libri, Rupi Kaur dedica dei versi davvero meravigliosi alla madre, nei confronti della quale nutre grande ammirazione e tenerezza; la scelta di allontanarsi dal proprio Paese per garantire un futuro migliore alla prole, rinunciando ai propri sogni e sacrificando sé stessa, diventa il paradigma universale dello spirito di sacrificio tipicamente femminile:

“[…]

e allora non ti permettere di deridere mia madre

quando apre la bocca e

ne esce un inglese sconnesso

non provare vergogna davanti a una che

ha solcato nazioni per stare qui

affinché non ti toccasse valicare una linea costiera

il suo accento è denso come il miele

reggilo con la tua vita

è l’unica cosa che le è rimasta della patria

non calpestare quella ricchezza

[…]

Oltre alla figura materna, la poesia di Rupi Kaur celebra con orgoglio le donne come sorelle unite da un comune destino, oppresse e portatrici sulle loro spalle delle sofferenze dell’umanità ma al contempo custodi di una resilienza straordinaria e di corpi sacri in cui gli uomini sono solo dei semplici ospiti, in quanto il corpo è la casa della donna (emblematica in questo senso la scelta del titolo dell’antologia “Homebody”). Il tema della fisicità femminile ritorna spesso nella narrazione di Rupi Kaur, che denuncia l’ossessione della perfezione a cui sono sottoposti i corpi delle donne, in particolare quelli delle minoranze che deviano dagli standard di bellezza occidentali, rivendicando l’accettazione non solo delle proprie imperfezioni ma anche la naturalezza della biologia femminile. Ed ecco versi che sarcasticamente irridono alla schiavitù della depilazione e criticano i tabù che avvolgono ancora il ciclo mestruale, come i seguenti:

a quanto pare è sgarbato da parte mia

menzionare il mio ciclo mestruale in pubblico

perché la biologia

del mio corpo è troppo reale

è considerato più accettabile vendere ciò che c’è

tra le gambe di una donna

rispetto a

parlare del suo funzionamento interno

l’uso ricreativo di

questo corpo è percepito in maniera

positiva mentre

la sua natura è

considerata riprovevole

A differenza dell’amore materno e della sorellanza, l’amore carnale è invece un sentimento totalizzante ma estremamente fugace e tossico, che lascia cicatrici e spezza a metà, portando con sé il pericolo di scomparire annullandosi nell’altra persona e convincendosi di non essere abbastanza. Per Rupi Kaur, tuttavia, non dobbiamo avere paura del dolore, in quanto parte dell’esperienza umana, né della solitudine, che rappresenta anzi l’occasione per imparare a conoscerci e ad aprirci alla sofferenza per evolvere e rialzarci più forti, come narrato in questi splendidi versi:

resta forte nel tuo dolore

fai crescere fiori da esso

mi hai aiutato a far crescere fiori dal mio

quindi fiorisci meravigliosamente

pericolosamente

sonoramente

fiorisci dolcemente

in qualunque modo preferisci

ma fiorisci

-al/alla lettore/lettrice

Unica via d’uscita e di guarigione per fiorire è la conoscenza di sé stess* e la costruzione a piccoli passi di una consapevolezza interiore della propria unicità, imparando a bastarsi e a sentirsi complet* senza paragonarsi ad altr*, amandosi incondizionatamente e aiutando altre donne a risplendere della loro luce.

mi reggo in piedi

sui sacrifici

di milioni di donne prima di me

pensando

cosa posso fare

per rendere più alta questa montagna

in modo che le donne dopo di me

vedano più lontano

 -lascito

 

 

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