Donne al potere nel mondo: Spunti di riflessione ed esempi virtuosi

Scritto da Alessia Vitale

 

A chi non è mai capitato di ascoltare o di leggere l’espressione soffitto di cristallo (dall’Inglese “glass ceiling”)?

I più ne riconducono la “nascita” all’ utilizzo che ne è stato fatto, per la prima volta, dal Wall Street Journal, nel 1984, in un celebre articolo dal titolo The Glass Ceiling: Why Women Can’t Seem to Break The Invisible Barrier That Blocks Them From the Top Jobs

Ben pochi sanno però che, realmente, ad introdurre tale metafora è stata, nel 1840, la scrittrice francese femminista George Sand (pseudonimo maschile di Amantine Aurore Lucile Dupin) che utilizzò l’espressione une voûte de cristal impénétrable  in una delle sue opere, per descrivere il sogno di una donna di librarsi in alto, nel cielo, con le sue ali, diventando così simbolo dell’ambizione femminile.

Nel 1978, l’espressione viene utilizzata da Marilyn Loden durante un’intervista resa in occasione di un incontro della Women’s Exposition di New York sul tema del gender gap nel mondo del lavoro. Durante la sua esperienza professionale presso la New York Telephone & Co., l’intervistata aveva potuto constatare, infatti, la stretta correlazione esistente tra i bias fortemente radicati nella cultura aziendale e la possibilità per le donne di raggiungere posizioni apicali. 

Successivamente, nel 1984, anche Gay Bryant, fondatrice e direttrice della rivista Working Woman, dichiara:

«Le donne hanno raggiunto… il soffitto di cristallo, sono nella parte superiore del management intermedio, si sono fermate e rimangono bloccate. Non c’è abbastanza spazio per tutte quelle donne ai vertici. Alcune si stanno orientando verso il lavoro autonomo. Altre stanno uscendo e mettono su famiglia».

In seguito, da uno studio del Congresso statunitense del 1991(United States Federal Glass Ceiling Commission) è emersa effettivamente l’esistenza di un’ invalicabile barriera che impedirebbe alle donne di salire ai gradini superiori della scala aziendale. Su questa scia, a partire dal 2013, il settimanale The Economist decide di iniziare a monitorare, annualmente, la condizione lavorativa e sociale della donna in 29 Paesi del mondo, creando il Glass-Ceiling Index.

Il “soffitto di cristallo” sta ad indicare, quindi, una particolare situazione che colpisce molte donne durante la loro carriera, donne che a un certo punto restano di fatto bloccate, non riuscendo ad accedere ai vertici del management o a conquistare la parità dei diritti per diverse ragioni spesso legate a discriminazioni di origine sessuale, nonché di natura sociale, culturale e psicologica.

Ad esempio, è risaputo che, nonostante nella maggior parte dei casi le ragazze conseguano risultati migliori rispetto ai loro colleghi maschi durante i percorsi di studio, al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro hanno comunque maggiori difficoltà nel trovare sbocchi professionali e retribuzioni adeguate, in parte anche in ragione della preferenza per indirizzi formativi di natura umanistica.

Un’altra ragione culturale che impedisce spesso alle donne di avanzare nella carriera è sicuramente rappresentata dal fatto che le responsabilità familiari ricadono ancora principalmente sulle spalle femminili, il che ovviamente incide sulla scelta di forme di lavoro part-time, che consentono di adattarsi alle esigenze familiari ma penalizzano fortemente le donne dal punto di vista retributivo e contributivo, talvolta allontanandole gradualmente dal mercato del lavoro.

Infine, è evidente come il divario salariale medio tra uomini e donne – il cosiddetto gender pay gap – che continua a persistere in tutti i Paesi e in tutti i settori rappresenti un indiscusso impedimento alla piena realizzazione delle donne in ambito lavorativo. La parità di remunerazione, e la maggiore autonomia economica che ne consegue, sono infatti tasselli importanti per costruire una società più equa e paritaria, in cui le donne vengano percepite come uguali alle loro controparti maschili e riconosciute nelle loro competenze professionali.

Il concetto di “barriera” evoca, quindi, l’immagine di un limite, quale elemento impeditivo che rende più difficile l’accesso ad una posizione apicale o ad uno “status” e molte sono le donne che, nel corso della loro vita professionale, hanno incontrato e tuttora si imbattono in ostacoli di tale natura, disseminati lungo il loro cammino. 

 

Donne al potere: alcuni esempi virtuosi in Italia e negli Stati Uniti

Tuttavia, nonostante per decenni siano state sminuite le competenze, le attitudini e la creatività delle donne in termini di partecipazione ai processi decisionali economici, politici e amministrativi, ultimamente è in atto una vera e propria inversione di tendenza, ed infatti non possono negarsi i progressi che sono stati conseguiti anche dall’Italia in tempi recenti. Nel 2019 è stata eletta Marta Cartabia come prima presidentessa della Corte Costituzionale in 71 anni. La presenza di donne italiane elette al Parlamento europeo attualmente si aggira intorno al 41,1%, mentre al Parlamento nazionale si attesta al 36,1% alla Camera dei deputati ed al 35,3 % al Senato della Repubblica. 

È ormai risaputo che una partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini ai processi decisionali politici e pubblici contribuirebbe non solo ad accrescere l’efficacia e la qualità delle decisioni assunte, grazie ad una nuova definizione delle priorità ed alla presa in considerazione di nuove istanze, ma anche a migliorare la qualità della vita di tutt*. 

Nonostante quindi in Italia alcune cariche presidenziali siano attualmente ricoperte da donne quali Elisabetta Casellati, prima Presidentessa del Senato in 71 anni; Elisabetta Belloni, prima donna Segretaria generale del Ministero degli Esteri in 71 anni e Gabriella Palmieri Sandulli, prima donna a capo dell’Avvocatura dello Stato in 86 anni, qualcosa di più sembra muoversi oltreoceano, dove nel 2020, con l’amministrazione Biden, è stata eletta Kamala Harris, prima donna ad assumere il ruolo di Vicepresidente degli Stati Uniti.  

Recentemente, l’opinione pubblica americana è stata nuovamente scossa dalla notizia della nomina di Keechant Sewell, prima donna alla guida del dipartimento di polizia di New York, il più grande degli Stati Uniti. Il 2021 verrà ricordato anche come l’anno in cui la più grande borsa valori per volume di scambi del mondo ha scelto la sua prima presidentessa. L’ex Chief Operating Officer Stacey Cunningham è diventata infatti la nuova numero uno del New York Stock Exchange, andando a dirigere un comitato direttivo di 25 membri che, per la prima volta in 226 anni, saranno guidati da una responsabile donna. Fa sicuramente riflettere il fatto che notizie del genere continuino a suscitare scalpore e siano spesso enfatizzate in maniera eccessiva dai media che, in questo modo, finiscono con il descrivere come personalità rare ed eccezionali le donne che raggiungono posizioni apicali, alimentando ulteriormente la catena degli stereotipi. 

Cosa accade, invece, nel resto del mondo?

Dando uno sguardo al nostro continente, sicuramente le istituzioni dell’Unione Europea fanno da apripista, con Ursula Von der Leyen, prima Presidentessa della Commissione Europea in 61 anni e Christine Lagarde, prima Presidentessa della Banca Centrale Europea in 21 anni e prima donna Direttrice del Fondo Monetario Internazionale in 74 anni.

Anche nel mondo dell’informazione ci sono stati notevoli passi avanti con la nomina di Katharina Viner, prima direttrice del Guardian in 198 anni, di Zanny Minton Beddoes all’Economist, e mai prima d’ora, in 131 anni di storia, una donna, Roula Khalaf, aveva diretto il Financial Times.  

Viaggiando tra i vari Paesi europei, il Kosovo ha eletto per la seconda volta una donna Presidente, mentre l’Estonia è il primo ed il solo paese al mondo ad avere due donne nelle principali posizioni di capo dello Stato e capo del Governo. Anche la Danimarca, la Finlandia, la Lituania e la Serbia hanno una premier donna e nella storia del governo islandese troviamo, per la seconda volta, una donna a ricoprire la carica di prima ministra. Tra i paesi del Nord Europa, sicuramente spicca la Norvegia dove, dal 2013, non solo vi è una presidenza al femminile ma anche due fondamentali dicasteri (affari esteri ed europei). Anche la Georgia e la Slovacchia hanno eletto due capi di stato donne.

In America centrale, Paula-Mae Weekes è la prima donna alla presidenza di Trinidad e Tobago, mentre in Africa la battaglia per la partecipazione delle donne al processo decisionale è sfociata in un alto livello di rappresentanza femminile nei Parlamenti. Il Parlamento del Rwanda, ad esempio, è il primo al mondo per numero di donne, che sono il 56% di tutti i deputati. Il Togo ed il Gabon, così come l’Etiopia, hanno una donna alla guida politica.

Anche quei paesi che sicuramente non spiccano nel panorama mondiale per l’impegno promosso nella tutela dei diritti umani, quali ad esempio Bangladesh, Myanmar e Nepal, hanno deciso di affidare la guida dei propri governi ad una donna. Anche Singapore, nel 2017 ha eletto alla presidenza una donna, di etnia malese.

E infine come dimenticare la leadership gentile (di cui abbiamo parlato recentemente sul nostro blog) di Jacinda Ardern, prima ministra della Nuova Zelanda, che con la sua empatia ha rassicurato i neozelandesi durante un periodo di forte preoccupazione, dimostrando di riuscire a superare brillantemente la gestione della crisi pandemica?            

         

Perché, nonostante i progressi, alcune cariche elettive restano tradizionalmente di predominante appannaggio maschile?

Seppur quindi è innegabile che gran parte dei ruoli apicali siano ancora oggi occupati da uomini, come abbiamo visto, qualcosa sta cambiando e il motore della modernizzazione è indubbiamente femminile. Considerando il tempo che è stato necessario alle donne per ricoprire incarichi di prestigio, è evidente che negli ultimi anni è in atto una presa di coscienza, a livello globale, non solo della fatica che le donne hanno fatto per conquistare queste posizioni, lottando contro stereotipi di genere e bias, ma vi è altresì la consapevolezza che solo rivendicando una parità effettiva potrà dirsi definitivamente superato quel “gap” che così tanto ostacola il percorso delle donne verso la leadership. Spesso, infatti, accade che, il fatto stesso di ricoprire posizioni apicali, non necessariamente implichi una pienezza di poteri ed una libertà effettiva di esercitarli. Pensiamo ad esempio al recente sfogo di Kamala Harris, prima Vicepresidente degli Stati Uniti donna ed afroasiatica, al New York Times, dalle cui pagine ha accusato il Presidente Biden di averla strumentalizzata per vincere le elezioni e poi esclusa dalla gestione delle “questioni più calde”. 

Indipendentemente dalla posizione della Harris, non può negarsi che, ogni qual volta una corrente di pensiero “innovatrice” agisca per portare dei mutamenti nelle coscienze collettive che siano in grado di sradicare lo status quo, inevitabilmente vi sia il rischio di una strumentalizzazione mediante condotte pretestuose, volte esclusivamente ad accrescere il gradimento dell’opinione pubblica. Per questo, le rivendicazioni femminili passano non solo dal voler ottenere il riconoscimento di posizioni lavorative che riflettano effettivamente le competenze di carriera acquisite da una donna ma altresì dal poter esercitare pienamente i poteri connaturati a tali posizioni apicali, una volta raggiunte.

Un esempio italiano virtuoso: la Legge Golfo-Mosca

Tornando un attimo in Italia, dal Gender Diversity Index 2021 (GDI) risulta che, a percentuali molto elevate (circa il 47%) di donne nei Comitati dei CdA/Consigli di Sorveglianza non faccia seguito, in realtà, un’altrettanto elevata rappresentanza femminile in posizioni apicali. Indubbiamente, l’impianto legislativo italiano ha contribuito all’aumento del bacino di donne che hanno accesso ai consigli grazie all’approvazione della Legge n° 120 del 2011 (cd. Legge Golfo – Mosca), che ha introdotto un obbligo normativo di riserva di posti negli organi di amministrazione e dei collegi sindacali delle società quotate e partecipate, a tutela del genere sottorappresentato (che come potete immaginare è quasi sempre quello femminile). In particolare, ciò che si richiede agli emittenti di azioni quotate, è di rispettare l’equilibrio tra i generi nel riparto degli/delle amministratori/amministratrici da eleggere, garantendo al genere meno rappresentato almeno un terzo degli/delle amministratori/amministratrici elett*. Inoltre, nel rispetto dei citati principi, l’atto costitutivo delle società quotate deve disciplinare il riparto dei/delle membr*, anche con riferimento al Collegio Sindacale.

Nonostante questi progressi, è comunque significativo rilevare come la percentuale di donne che ricopre la carica di CEO si attesta solo al 3% ed inoltre l’Italia è scesa in terza posizione per numero di donne a capo dei CdA (15%).

Al di fuori dei Consigli di Amministrazione, invece, la rappresentanza femminile nei livelli esecutivi è solo del 17% (contro il 32% della Norvegia e il 24% del Regno Unito). Ad ogni modo, nonostante l’Italia si attesti nella parte alta della classifica per GDI (pari da 0,62), c’è ancora un innegabile tema di leadership femminile che va risolto. Dando uno sguardo al resto d’Europa, invece, i Paesi più vicini alla parità di genere sono Norvegia, Francia e Regno Unito, con un GDI di circa 0,7, seguiti da Finlandia e Svezia.

Donne al potere e parità effettiva: un cammino ancora in salita

La strada da percorrere è ancora lunga ma rispetto solo al 2020 il nostro Paese ha compiuto passi da gigante, dato che, stando a quanto indicato dal Global Gender Gap Report 2021, ha risalito la classifica globale di ben 13 posizioni, collocandosi al 63esimo posto. Se confrontiamo questi dati con quelli elaborati alla fine del 2018, l’Italia era fanalino di coda al 70esimo e penultimo posto della classifica, con il 49,7% di occupazione femminile, superata solo dalla Grecia. 

Nonostante i progressi compiuti nell’ultimo decennio, l’Italia registra ancora un forte ritardo di genere nel mercato del lavoro, dove i divari sono misurati in termini di partecipazione, opportunità di carriera, retribuzione, segmentazione orizzontale dell’occupazione e onere non retribuito della cura della famiglia.

Gli ormai noti problemi dell’occupazione femminile sono imputabili al basso tasso di occupazione (in Italia lavora meno di una donna su due), all’alta percentuale di contratti part time (49,8%), all’elevata differenza salariale (stimata nel 5,6% dal Wef, ma secondo altre rilevazioni Eurostat al 12%), alle scarse possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donna) e all’accesso alla formazione Stem (16% delle donne contro il 34% degli uomini). 

Considerando i modelli virtuosi adottati dai tre paesi dell’Europa del Nord (Islanda, Finlandia e Norvegia), guidati da premier donne, sappiamo che molto deve essere ancora fatto ed auspichiamo che la lotta alle disuguaglianze nell’accesso alla forza lavoro, così come le disparità a livello economico e salariale e nella progressione di carriera, continueranno a rappresentare uno degli argomenti principali al centro del dibattito pubblico.

 

Fonti:

 

  • https://it.wikipedia.org/wiki/Soffitto_di_cristallo 

 

  • https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/FascicoloSchedeDDL/ebook/52081.pdf.

 

  • Rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, 2020.                                  https://www.ispettorato.gov.it/it-it/in-evidenza/Documents/Rapporto-annuale-2020.pdf.

 

  • https://www.amistades.info/post/gender-pay-gap-legge-italiana

 

  • http://www.cheliberta.it/2019/12/12/valanga-di-donne-ai-vertici-il-mondo-sta-cambiando/

 

  • https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52020DC0152

 

  • Strategia per la parità di genere 2020-2025 dell’Unione europea https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20190226STO28804/le-donne-e-il-parlamento-europeo-infografica

 

  • https://www.corriere.it/esteri/elezioni-usa-2020/notizie/kamala-harris-prima-donna-vicepresidente-un-ispirazione-ogni-ragazzina-nera-bafabbd6-2140-11eb-8b53-82a05f6b5eae.shtml

 

  • https://tg24.sky.it/mondo/2021/12/15/usa-keechant-sewell-prima-donna-capo-polizia-new-york

 

  • https://www.internazionale.it/notizie/uri-friedman/2020/04/22/nuova-zelanda-premier-popolarità

 

  • https://www.agi.it/estero/news/2021-01-27/mappa-mondiale-donne-potere-11169416/

 

  • https://businessandleaders.it/2018/05/30/stacey-cunningham-la-regina-di-wall-street/

 

  • https://www.nytimes.com/2021/12/23/us/politics/kamala-harris-biden-administration.html

 

  • https://www.ilsole24ore.com/art/gender-gap-l-italia-sale-63-posto-ma-resta-i-peggiori-europa-ADyXOCUB

 

  • https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DOSSIER/0/1107241/index.html?part=dossier_dossier1

 

  • https://valored.it/news/in-europa-solo-il-7-delle-aziende-e-guidata-da-una-ceo-donna/
Iscriviti alla nostra Newsletter!
Ho letto e accetto i termini e le condizioni