Un caffè e un libro: “Chi ha Cucinato l’Ultima Cena? – Storia Mondiale delle Donne” Rosalind Miles

A cura di Veronica Buonocore

Dove sono finite le donne nella Storia?

Quali sono state le cause della loro subordinazione?

Queste domande me le sono poste spesso durante gli anni di studio, mentre scorrevo pagine di narrazioni di epopee guidate da eroi maschili, uomini soli in grado di compiere gesta straordinarie e traghettare l’umanità verso il progresso.

Sembrava che tutta la Storia appartenesse agli uomini.

Pochi e sparuti gli esempi femminili, sempre gli stessi e spesso ricordati non per le loro abilità, quanto piuttosto per caratteristiche fisiche o aneddotiche come Cleopatra, celebrata come paradigma di avvenenza e fascino, invece che per le incredibili doti di condottiera e stratega.

Se come me vi siete post* questi quesiti almeno una volta, non potete assolutamente perdervi “Chi ha Cucinato l’Ultima Cena? Storia Mondiale delle Donne”, un saggio di Rosalind Miles pubblicato per la prima volta negli anni ’80 e divenuto ormai un “classico” del pensiero femminista, che la casa editrice Fandango ha recentemente riproposto in una nuova edizione arricchita.

 

Scoprirete così – chi l’avrebbe mai detto! – che non solo le donne ci sono sempre state e hanno instancabilmente lottato per l’affermazione delle loro libertà, anche nei periodi di più profondo oscurantismo, ma anzi hanno avuto un contributo fondamentale nell’evoluzione della società.

Quale peccato che la narrazione mono-dimensionale della società patriarcale se ne sia (volutamente?) dimenticata!

Non è infatti un caso che la Storia si sia concentrata solo su metà della razza umana, visto che sono stati proprio gli uomini a scriverla secondo il loro punto di vista, negando la partecipazione femminile al processo evolutivo della società.

Per fortuna ci pensa Rosalind Miles in questo saggio rivelatore a rovesciare il racconto che siamo abituat* ad ascoltare attraverso l’ausilio di innumerevoli dati, curiosità e fonti storiche e scientifiche, restituendoci una storia dell’umanità che rimette al centro la presenza e l’essenziale contributo femminile in tutti i campi dello scibile umano.

Scopriamo innanzitutto così che la storia della razza umana inizia proprio con il cromosoma X, quello femminile ed originale, di cui il cromosoma Y costituisce una semplice variazione, e che l’antenata comune di tutti gli esseri viventi è stata proprio una donna, vissuta in Africa circa trecentomila anni fa, i/le cui discendenti migrarono in tutto il mondo, dando origine all’umanità intera.

Proseguendo nel viaggio dell’autrice agli albori della civiltà, ci ritroviamo nell’epoca preistorica, sì proprio quella degli uomini delle caverne che, armati di clave e sassi appuntiti, tramite la forza bruta e la caccia hanno garantito la conservazione della specie.

O almeno così ci hanno sempre detto.

In realtà, erano le donne nelle società primitive ad avere un compito fondamentale, quello di raccogliere il cibo, attività che ha consentito la sopravvivenza della razza umana per millenni; con la sola caccia praticata dagli uomini, infatti, soggetta a numerosi rischi e variabili, l’umanità si sarebbe presto estinta.

Analogamente, la cura della prole, da sempre saldamente nelle mani femminili, ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della razza umana, che non è mai stata ufficialmente riconosciuta ma che ha contribuito al graduale distacco dell’essere umano dalle scimmie in termini di abilità mentale e concettuale.

Nelle società primitive, inoltre, le donne godevano di diritti e libertà che sarebbero andati perduti in epoche considerate più “avanzate”, come spostarsi a loro piacimento e disporre liberamente del proprio corpo.

E proprio il corpo femminile, attraverso il ciclo mestruale mensile e la procreazione, ha consentito la sopravvivenza della specie umana, permettendone la moltiplicazione. Per queste ragioni, la donna nella società tribale era considerata miracolosa, sacra e potente, al punto che molte tribù iniziarono a venerarla come un essere soprannaturale, una vera e propria divinità.

Nasce così il culto della “Grande Madre”, la prima donna-Dio che, come ci ricorda Rosalind Miles, “costituisce uno dei segreti più gelosamente conservati della storia”. Sembra infatti incredibile ma per millenni, in tutte le civiltà, la donna è stata venerata come divinità generatrice della vita umana, figura sacra ed immortale, e questa venerazione ha permesso lo sviluppo di società matriarcali, in cui le regine andavano in battaglia e trasmettevano il diritto di regnare alle figlie (come nell’Antico Egitto), oppure le donne erano addirittura finanziariamente indipendenti e potevano separarsi dai loro mariti (diritto previsto dal Codice babilonese di Hammurabi, straordinariamente moderno per l’epoca!).

Quest’epoca d’oro per la donna inizia ad incrinarsi dapprima con la promulgazione di alcune leggi in epoca greca e romana, dirette a sradicare il potere femminile e a rendere la donna proprietà dell’uomo, e si conclude definitivamente con l’avvento dei principali sistemi religiosi monoteistici, primo fra tutti il Cristianesimo, che abolisce con la forza il culto della Grande Madre, distruggendo i templi a lei dedicati.

È infatti innegabile che tutte le principali religioni abbiano contribuito in maniera determinante a sconfiggere sul piano storico il sesso femminile, assoggettandolo a valori concepiti per favorire la superiorità degli uomini.

Secondo i monoteismi patriarcali, infatti, la donna era un essere inferiore proprio perché Dio era maschio e la donna, rappresentandone l’opposto, non poteva che essere quanto di più lontano possibile da Dio, il che la costringeva a una doppia sudditanza, a Dio e a qualsiasi uomo. Non è infatti un caso che in tutte le religioni monoteiste l’uomo nasce per primo e la donna viene creata come sua appendice. Secondo l’autrice

[…] proprio in tale concetto sta la radice dell’ineguaglianza delle donne, in quanto se i maschi […] arrogano a sé tutti i punti di forza e tutte le virtù, allora le donne saranno di necessità creature opposte e inferiori: deboli mentre gli uomini sono forti […] e stupide mentre gli uomini sono intelligenti.

Ed ecco che le donne, ritenute inferiori, vengono gradualmente private di ogni diritto, subordinate all’autorità maschile e costrette a vivere confinate fra le mura domestiche, escluse da qualsiasi attività pubblica e dalla possibilità di scegliere il loro destino.

L’annientamento della donna culmina infine nella campagna di odio promossa in epoca cristiana e medievale contro il corpo femminile, considerato peccaminoso. La castità diventa la massima virtù per una giovane ragazza e il sangue, venerato dalle civiltà antiche come simbolo divino, diventa motivo di vergogna, al punto da costringere le donne a doversi nascondere o allontanare dalle proprie case durante il ciclo mestruale, usanza che tuttora esiste in alcuni Paesi.

Il disgusto per il corpo rappresenta purtroppo un elemento cruciale della subordinazione femminile proprio perché, minando alle basi la fiducia delle donne, ha contribuito all’insorgere di insicurezza cronica e dipendenza nei confronti degli uomini – tutti fardelli di cui ancora oggi fatichiamo a liberarci.

 

 

Con grande sorpresa, tuttavia, continuando questo viaggio nella storia delle donne fra le pagine del libro, scopriamo che proprio i conventi hanno rappresentato un primo luogo di emancipazione femminile attraverso l’arma più potente, ovvero l’istruzione.

Molte donne, infatti, sceglievano volontariamente di farsi monache per poter coltivare in pace i propri studi e sfuggire ai matrimoni combinati, dedicandosi finalmente a sé stesse, e proprio per questo in diverse culture le prime donne erudite sono state sacerdotesse, mistiche o religiose, per le quali le congregazioni e i ritiri spirituali rappresentavano ironicamente un trampolino di lancio verso la libertà. Peraltro, le religiose non erano solo dedite agli studi ma erano anche vere e proprie imprenditrici, dovendo gestire la produzione di beni e proprietà terriere, riuscendo così a trovare finalmente un loro ruolo all’interno della sfera sociale.

Con l’avvento del Rinascimento, il tasso di alfabetizzazione fra la popolazione cresce rapidamente, ed ecco comparire sulla scena culturale le prime poetesse ed intellettuali (purtroppo raramente citate nei libri di storia!), persino qualche femminista in erba come Christine de Pisan, filosofa, storica e poetessa italiana del Quattrocento, idolatrata dai re e molto nota nella sua epoca per le ricerche storiche condotte in merito ai risultati conseguiti dalle donne nel passato, strenua sostenitrice del diritto all’istruzione femminile, come scriveva:

Se fosse costume di mandare le bambine a scuola e che si facessero loro apprendere le scienze come si fa con i maschi, apprenderebbero altrettanto perfettamente e intenderebbero le sottigliezze di tutte le arti e le scienze, proprio come i maschi. Anzi, forse le imparerebbero meglio […]

Già, perché nonostante i progressi del periodo glorioso rinascimentale, la maggior parte della popolazione femminile continuava comunque ad essere esclusa da qualsiasi possibilità di accedere al sapere, saldamente detenuto nelle mani maschili. Le donne non potevano infatti frequentare le scuole secondarie e le università, perché l’istruzione era considerata inutile; anzi, una donna colta avrebbe causato solo problemi, poiché la sua dote sarebbe stata ancora più costosa.

Per questo, tutto quello che una donna poteva fare era restare confinata fra le mura domestiche, accudendo marito e prole.

E attendere.

Sarebbe tuttavia un grandissimo errore pensare che le donne siano rimaste pressoché inerti sedute alla finestra ad aspettare il loro momento di gloria per i secoli successivi.

Come ci ricorda Rosalind Miles, in realtà le donne hanno costantemente lavorato in tutte le epoche e Paesi, dedicandosi ai compiti più disparati con incredibile dedizione e nell’invisibilità più totale, in quanto i proventi del lavoro femminile appartenevano al marito, dunque non venivano conteggiati, né registrati ufficialmente.

Il che non ci dovrebbe sorprendere più di tanto, se pensiamo che il lavoro di cura svolto dalle donne è tutt’oggi enormemente sottovalutato, e non esistono dati ufficiali in grado di registrarne la portata economica e sociale ma solamente delle stime.

Allo stesso modo, è necessario sfatare un altro mito: quello che sin dall’antichità siano sempre esistiti mestieri “da uomini” e “da donne”. In realtà, prima della Rivoluzione Industriale, le donne svolgevano anche i lavori più duri e “maschili”, come ad esempio la costruzione di grandi opere quali le Piramidi in Egitto, l’estrazione di materiali e la coltivazione dei campi.

Quel che resta purtroppo una costante è invece il gender pay gap: sin dalla notte dei tempi, infatti, il lavoro delle donne veniva sottopagato rispetto all’equivalente lavoro maschile, più o meno, pensate, in percentuali simili a quanto avviene ancora oggi!

Con le Rivoluzioni del XVIII secolo, le donne iniziano ad agire da protagoniste nella vita politica e sociale, rivendicando a sé diritti e libertà come mai era accaduto prima.

Emblematico in tal senso il ruolo delle donne durante la Rivoluzione Francese. Forse non è così nota ma è stata proprio una donna vestita da Amazzone, Théorine de Méricourt, a guidare la presa della Bastiglia. Ancor prima, la ribellione che ha dato origine ai moti rivoluzionari, la cosiddetta “Marcia del Pane”, è stata capitanata da un gruppo di donne parigine di diversa estrazione sociale che, non riuscendo a trovare del pane nei mercati cittadini, iniziarono a marciare verso Versailles.

Grazie all’azione di queste rivoluzionarie, il pensiero femminista inizia ad attecchire e a piantare i primi timidi semi, come le richieste di eguale accesso all’istruzione o le petizioni avanzate dalle donne del Terzo Stato al re, sino a culminare in uno dei primi pamphlet femministi della storia, la “Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina”. Questo documento, redatto nel 1791 da Olympe de Gouges, è una vera e propria carta dei diritti delle donne, che sancisce l’eguaglianza formale e sostanziale dei sessi, chiedendo parità di diritti e di accesso ad istruzione e carriere.

Un testo davvero rivoluzionario, tanto più se si pensa che le teorie alla base del pensiero di Olympe de Gouges, ovvero il diritto all’istruzione come grimaldello per ottenere l’accesso all’indipendenza economica garantita dal lavoro e ai diritti politici, hanno rappresentato le fondamenta delle dottrine femministe del XX secolo. Secondo de Gouges, solo ottenendo la possibilità di legiferare le donne avrebbero infatti potuto approvare quelle riforme necessarie a garantire loro un’effettiva eguaglianza, come la parità salariale o il diritto all’istruzione. Purtroppo, nonostante gli impeti rivoluzionari, la voce di quest’eroina viene presto messa a tacere da Robespierre, che ne ordina l’assassinio nel 1793.

 

Pare incredibile ma nessuna rivoluzione era tanto potente da mettere in discussione il patriarcato, non ci fu mai l’intenzione di dare riconoscimento alle donne, includendole pienamente nella società civile, e i movimenti femministi furono soffocati sul nascere. Emblematico di questa tendenza il fatto che il suffragio universale, considerato uno dei più grandi lasciti della Rivoluzione Francese, non venne volutamente esteso alle donne, nonostante petizioni e proteste, che culminarono nella soppressione dei circoli femminili, facendo immediatamente ripiombare le donne fra le mura domestiche e lasciando intatto il privilegio maschile.

 

 

A rinsaldare nuovamente la dipendenza della donna nei confronti dell’uomo ci pensa infine la Rivoluzione Industriale inglese.

Può sembrare una contraddizione ma Rosalind Miles ci spiega chiaramente come, il passaggio da economia agricola ad industriale, abbia sì comportato la possibilità per le donne di poter lavorare ma ad un prezzo altissimo. Costrette a svolgere occupazioni di bassa qualità in condizioni di sfruttamento e schiavitù, oltre che di scarsa igiene e pericolo, con stipendi inferiori non solo a quelli degli uomini ma anche dei bambini, le donne, oberate dal doppio onere del lavoro salariato e di quello gratuito domestico – che da allora le ha sempre oppresse – si ritrovarono così schiacciate da entrambi i sistemi, quello lavorativo e quello familiare, alla perenne ricerca di un equilibrio fra i due mondi che ancora oggi spesso faticano a raggiungere, sentendosi costrette a sceglierne uno a discapito dell’altro (vi dice nulla l’incremento delle dimissioni femminili dopo la maternità, che rappresenta tuttora una delle cause principali di diseguaglianza fra i sessi?!).

È quindi particolarmente triste che, nonostante gli indubbi progressi della razza umana, neppure le rivoluzioni dell’età moderna fossero riuscite a smantellare la superiorità maschile e i privilegi di cui godevano gli uomini nei confronti delle donne, ancora prive dei diritti più elementari quali il voto, l’istruzione, la proprietà.

E, ciò che più inorridisce, è che spesso erano le donne stesse a sostenere con ferma convinzione la loro inferiorità nei confronti dell’altro sesso, opponendosi strenuamente ai movimenti di emancipazione femminile e dichiarando pubblicamente il loro sdegno nei confronti dell’eguaglianza fra i sessi, proprio come la Regina Vittoria, che si definiva inorridita dall’insensata follia delle donne di reclamare diritti.

Non è difficile capire il motivo di tanta diffidenza.

Per secoli, coloro che detenevano il potere erano stati capaci di convincere metà della razza umana di un’inferiorità innanzitutto biologica, e il culto della scienza che inizia a diffondersi a partire dal XIX non fa altro che corroborare questa convinzione, arrivando persino a sostenere tramite lo studio della craniologia che, essendo l’intelligenza direttamente proporzionale alle dimensioni del cervello, senza dubbio il maschio bianco rappresentava l’essere umano più intelligente, superiore sia alla donna che ad altri uomini di razze diverse. Pensate che persino Darwin era un sostenitore di questa teoria, ed ecco perché non si occupò mai di studiare il cervello femminile! La presunta inferiorità mentale delle donne, considerate dalla scienza esseri deboli, isterici ed eccessivamente sentimentali (etichette che, se ci pensate, ci vengono affibbiate ancora adesso), diventa così la scusa perfetta per negare loro ogni diritto all’istruzione, considerata superflua per cervelli così mediocri.

Nonostante ciò, la continua negazione dei diritti civili sortisce a un certo punto l’effetto opposto, che accende la miccia della rivoluzione femminista: la nascita del movimento femminile per la rivendicazione del diritto di voto o, come più noto, il movimento delle suffragette. Ispirate dalle parole dall’illuminante saggio del 1792 di Mary WollstonecraftI diritti delle donne”, in cui l’autrice si scaglia contro la tirannide maschile che opprime le donne nel vincolo del matrimonio (definito una prigione) per escluderle dalla vita civile e sociale, le donne inglesi iniziano a battersi con compattezza e caparbietà per ottenere l’estensione del suffragio universale alla popolazione femminile, spalleggiate anche da alcuni parlamentari uomini, che per la prima volta abbracciano la causa femminista, e dalle consorelle americane, che godevano già di maggiori libertà.

Fondamentale alla causa è stato proprio il contributo di due donne americane, Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, che, a metà del XIX secolo, pubblicano un’opera mastodontica chiamata “La Bibbia delle donne”, in cui il Cristianesimo viene ferocemente attaccato per aver contribuito in maniera sistematica a diffondere lo svilimento della figura femminile e tacciato come una delle cause principali che hanno impedito l’emancipazione femminile nel corso della Storia.

Con il rigetto del Cristianesimo, inizia a venire meno anche un altro dei capisaldi della subordinazione femminile: il negato accesso all’istruzione. Proprio perché il peccato di Eva era consistito nel mangiare il frutto proibito dell’albero della conoscenza, la punizione per la donna avrebbe dovuto essere la privazione del sapere, e così era stato per secoli, in cui le donne erano state convinte della propria ignoranza. Ed ecco che, con lo smantellamento di questa falsa convinzione, alcune donne coraggiose riescono nell’intento di fondare alcuni college femminili in prestigiose università come Oxford o a consentire l’accesso all’istruzione superiore alle studentesse, che comportò presto anche la possibilità di essere ammesse a carriere professionali finora riservate agli uomini, come la medicina.

Da ultimo, le donne riescono nella conquista del tanto agognato diritto di voto, dapprima nello Stato americano del Wyoming (1869), poi nel 1893 in Nuova Zelanda, passato alla Storia come il primo paese a concedere il voto alle donne, e gradualmente in diversi Paesi europei, ottenendo collettivamente diritti e vantaggi mai conquistati in migliaia di anni.

Ma, come ci racconta Rosalind Miles, non finisce assolutamente qui!

Ben presto, infatti, le donne si rendono conto che, senza un’emancipazione fisica dal proprio corpo e dalla schiavitù delle gravidanze indesiderate, la libertà di voto non avrebbe avuto alcuna importanza.

Il nascente movimento femminista si butta così a capofitto in una nuova battaglia, che continua ancora oggi: quella del controllo e del libero utilizzo del proprio corpo attraverso l’emancipazione sessuale e la contraccezione, considerato dall’autrice un elemento chiave e fondamentale della lotta femminista. Grazie alla contraccezione, infatti, le donne hanno per la prima volta la possibilità di diventare individui completamente autonomi, slegando il proprio corpo dalla funzione riproduttiva, come era stato per secoli.

Le tappe fondamentali di questo percorso sono state la produzione e messa in commercio nel 1840 del moderno profilattico e, nel 1955, della pillola contraccettiva e della spirale, che contribuirono a cambiare le vite di milioni di donne, rendendole padrone complete della propria libertà sessuale e garantendo allo stesso tempo una spinta fondamentale all’adozione delle prime leggi a tutela dell’interruzione volontaria di gravidanza nel corso degli anni Sessanta del XX secolo.

Ma come si è arrivati, dopo secoli di oscurantismo, a garantire addirittura il diritto alle donne di decidere del proprio corpo in autonomia?!?

Beh, secondo Rosalind Miles grazie “alla più intensa attività femminista mai realizzata dalle donne” che, nell’arco di soli vent’anni, ha dato vita al vero e proprio femminismo come lo conosciamo oggi.

Il tutto grazie all’azione di donne controcorrenti e coraggiose come Simone de Beauvoir, autrice della pietra miliare del femminismo “Il secondo sesso” (di cui abbiamo parlato in questo articolo), e Betty Friedman, considerata la madre dei femminismi e nota per avere smantellato nei suoi testi il mito della casalinga americana appagata dalla propria banale routine familiare, consentendo alle donne di liberarsi delle prigioni dorate che le tenevano incatenate ai vecchi modelli patriarcali per manifestare tutta la loro rabbia e frustrazione, incanalandola in un vero e proprio movimento per l’emancipazione femminile di portata internazionale che acquisiva sempre più autorità e credibilità, la cui lotta continua ancora oggi.

 

 

A testimonianza di quanto questo saggio di Rosalind Miles sia tuttora di grande attualità e ci riguardi profondamente da vicino, è significativo che migliaia di donne in tutto il mondo, dopo aver letto il libro, abbiano scritto all’autrice commosse, ringraziandola per aver restituito un posto nella storia a tutte le donne dimenticate:

Una nonna ultraottantenne mi ha scritto di avere comprato una copia per ciascuna delle sue figlie e delle sue nipoti <<perché se è troppo tardi per me, non è troppo tardi per loro>> confessa l’autrice nella prefazione.

E questo saggio è un monito a tutte noi: che le nostre fondamenta, i nostri diritti e conquiste, poggiano sulle spalle e le schiene di milioni di donne piegate da sacrifici, malversazioni, torti, sofferenze e ingiustizie.

Donne le cui voce sono state soffocate e a cui gli uomini volontariamente per secoli non hanno esteso i diritti e libertà più elementari, tuttora negati in gran parte del mondo, dove le donne non sono considerate persone.

Come scrive Rosalind Miles:

Le donne rappresentano la maggioranza più maltrattata e tuttora sofferente nella storia del mondo e non lo affermeremo mai abbastanza forte o abbastanza a lungo.

Quello che siamo lo dobbiamo alle compagne venute prima di noi, e continuare a lottare per prenderci spazio è nostro dovere, finché tutte non saremo libere.

Da condizionamenti, preconcetti e stereotipi.

Libere finalmente di scegliere.

 

Titolo: Chi ha Cucinato l’Ultima Cena? – Storia Mondiale delle Donne

Autrice: Rosalind Miles

Editore: Fandango Libri

Anno di edizione: 2021

 

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