Be Digital – Io sono il mio personal brand

Il personal branding parte da una domanda: chi voglio essere?
Quando Alice Marmieri se l’è posta la risposta è stata Arrivederci Google!

Scritto da Carolina Nobile

Ambizione, determinazione, coraggio con una punta di pazzia. Spingersi sempre oltre, non a caso amo molto lo sci: ho la competizione nel sangue.
Sono queste le parole che sceglie Alice Marmieri per raccontarsi. Oggi consulente digital, ieri marketing e account manager in multinazionali che sono l’eldorado per i professionisti appassionati di marketing e digital.

Alice, hai detto arrivederci ad aziende come Google e Luxottica, come mai?

> Sono arrivata in queste realtà subito dopo la laurea in economia, convinta che il mio futuro professionale sarebbe stato lì. Ma dopo anni di lavoro come manager ho sentito che non faceva per me. Così mi sono licenziata senza avere un’alternativa. Ho pensato di concedermi un periodo sabbatico ma non c’è stato tempo perché si sono aperte subito nuove opportunità.

Ho fondato la mia società Marte Digital che si occupava di consulenza e formazione digitale. Ho lavorato a progetti molto interessanti come l’Academy creata con il Corriere Economia. Non mi bastava. Volevo avere un impatto sul mercato, avevo bisogno di un partner forte. Dopo vari tentativi, nel 2017 quell’avventura finisce.

Decido che il periodo sabbatico non poteva più aspettare: a 32 anni zaino in spalla parto per il Sud America per 6 mesi.
Viaggiando ho l’occasione di guardarmi dentro e “ritararmi”. Carica di energia, al mio rientro collaboro con una no profit che disegnava percorsi di mentoring per universitari, prima nei panni di mentor poi di general manager.

Indovinate? Non mi bastava! Volevo trasformarla in un’azienda vera e propria. Non è successo, così mi sono rimessa in cammino e ho scelto di abbracciare la libera professione.
Sono arrivata a Start-up Geeks, a YouTube e poi LikedIn che mi sta regalando grandi soddisfazioni.

Quanto è stato difficile dare retta alla vocina interiore e lasciare un’azienda come Google?

>I miei genitori sono imprenditori, e proprio per questo mi hanno sempre detto fai la dipendente! Potete immaginare la loro reazione.
Mi dettero tutti della matta quando me ne andai, ma io non mi sentivo a casa.
Il mio punto di rottura è stato non riconoscermi più, ero emotivamente scontenta e svogliata.

Ho lasciato Google nonostante fossi appena stata promossa ma non volevo accontentarmi. Ho vissuto quegli anni con grande determinazione, sempre focus on the job.
Poi qualcosa è cambiato: mi sono appassionata allo sviluppo e alla crescita personale e delle persone. Mi sono aperta allo yoga e alla meditazione che prima pensavo fossero cose da fricchettoni, senza offesa!

Oggi è il personal branding ciò che ti appassiona e al quale ti stai dedicando con la tua consulenza e divulgazione su LinkedIn. Come ci sei arrivata?

> Con tanta consapevolezza e autoanalisi.

Deve piacerti il percorso non il raggiungimento della meta in sé, perché arrivare all’obiettivo e non avere pronto il passo successivo può disorientare, per questo bisogna mettersi in ascolto e capirsi.

Nel mio caso sono stati gli altri ad indicarmi la via. Ho dedicato tempo ad aiutare amici e conoscenti a creare contenuti e relazioni online. Stimolata da loro ho fatto un ragionamento: passione per l’online marketing + passione per sviluppo personale = personal branding!
Io stessa l’ho imparato a mie spese perché sono certa che se avessi lavorato di più sulla mia comunicazione, sia da dipendente che da imprenditrice, avrei raggiunto risultati di maggior successo.

Curare il proprio personal brand è imprescindibile perché è il modo che abbiamo di lasciare un segno e creare impatto, insomma trovare la propria voce.

Io sono il mio personal brand. Scelgo di condividere in modo nudo e crudo le mie esperienze professionali perché le persone possano identificarsi e fidarsi.
Per fare ciò bisogna però avere chiaro il proprio why e la direzione in cui si sta andando, chi si desidera essere.
Questa è una sfida che dura una vita ed è un’evoluzione continua.

Senza passione non c’è personal branding!

Parli e scrivi con molta trasparenza anche di quelli che possiamo definire errori o insuccessi. Non è da tutti!

> Vulnerabilità, fallimento, errori sono temi che le start-up e più in generale il mondo anglosassone sposano in pieno, conoscono e non trattano come un tabù. Ho avuto la fortuna di lavorare in ambienti molto internazionali quindi per me è scontato.

In Italia ne parla liberamente solo chi risponde a se stesso, ma è difficile che un leader d’azienda faccia altrettanto, ci vuole coraggio da vendere!
Il problema è culturale: si osanna solo il successo non la vulnerabilità. Ma l’uno non esiste senza l’assunzione di rischi ed è normale che uscendo dalla propria comfort zone si commettano errori.

Il Covid ci ha dato un bel calcio nel sedere! Ci ha messo di fronte al fatto che bisogna cambiare mentalità.
È importante soprattutto verso i propri dipendenti e la sopravvivenza dell’impresa. I nuovi modelli come lo smart working chiedono di ridisegnare la fiducia. Per farlo, una sana e costante autoanalisi dovrebbe essere il pilastro sul quale fondare il rapporto tra il dipendente che lavora per obiettivi, e il manager che deve costruire una leadership basata sul merito.

In ottica valoriale le nuove generazioni non puntano tanto al contratto a tempo indeterminato, ma all’impatto che possono avere. Se si vuole attrarre talenti bisogna evolversi.

Nel tuo lavoro di consulente che aiuta i clienti a fare personal branding, quali sono le difficoltà comuni che hai riscontrato?

>Dietro a chiunque, a qualsiasi livello, c’è sempre la paura di esporsi, la paura del giudizio. Ad un certo punto però la si supera capendo che ciò che si può dare e l’impatto che ne deriva sono più importanti della paura stessa.

Ognuno ha il proprio personal brand, che secondo Jeff Bezos è quello che gli altri dicono di una persona quando lascia la stanza.
Il primo passo è raggiungere la consapevolezza di chi si è e si vuole diventare, e capire come comunicarlo.

Il coaching è molto utile per stimolare le domande giuste, trovare l’equilibrio tra condivisione professionale e personale, il tone of voice adatto e dare così agli altri una ragione per seguirci.
Segreti e formule magiche non ce sono. Spesso mi imbatto in advertising che promettono la luna: attenzione alla fuffa, ce n’è tanta!

L’umanizzazione è fondamentale: dietro qualsiasi like, post, follower o aspirante influencer ci sono persone con le loro fragilità e vulnerabilità.
Il digitale ha una potenza di fuoco: magari posso anche riuscire a fregare l’utente una volta, ma di certo non ce ne sarà una seconda. Se sei vuoto sei vuoto sempre.

C’è stata una corsa forsennata al digitale in questi mesi. Ti è mai venuta voglia di dire ai tuoi clienti: te l’avevo detto! Perché non hai creduto e investito prima nel digital?

>No e ti spiego perché! Molti manager e CEO non hanno dimestichezza con tutto questo. L’età porta a temere certe cose e lo capisco.
Cambiare, soprattutto ora, è un must.

Noi siamo il ponte, siamo coloro ai quali affidarsi perché abbiamo le competenze giuste. Ragazzi per noi si aprono grandi opportunità!

Personal Branding e digitalizzazione

Personal branding goes to digital!

Quindi non è tanto il te l’avevo detto, quanto piuttosto il far capire ai nostri boss che non siamo nati “imparati”, che possiamo colmare i gap studiando e sbagliando e che non serve nascondere gli errori sotto il tappeto: usiamoli per imparare.

Le hard skill sono la base, poi ci sono il fattore C, l’essere agili, veloci, pronti, a sperimentare e trasformarsi.
Fai un errore? Non cade il mondo, lo capitalizzi.

Il consulente o lo specialista di valore è chi spende tempo ad ascoltare, a capire la realtà che ha di fronte per costruire il percorso a 4 mani, rispettando l’azienda che è e vuole essere.

Il focus principale non deve essere lo strumento che si sceglie di utilizzare per la trasformazione – ad esempio l’e-commerce – ma la sostenibilità del progetto stesso. Il manager deve poter continuare a portare avanti l’azienda mentre guida il cambiamento.

La trasformazione digitale in Italia è più un tema culturale che tecnologico. E qui torna il concetto di fiducia verso i propri collaboratori: mai come ora per guidare il goes to digital bisogna delegare, affidarsi a quelle competenze interne e investire su di esse.

Che consigli ci dai per inizare a costruire il nostro personal branding?

>Il primo passo è guardarsi dentro, chiedersi chi sono? Chi voglio diventare?
Non c’è bisogno di presidiare tutti i social: fate una scelta oculata in base all’obiettivo che avete.
Capite chi è la vostra audience, chiedetevi di cosa ha bisogno, quali sono le difficoltà e che valore potete portare, what is unique value proposition?
Bilanciate esperienza personale con contenuti utili per i vostri lettori. Studiate, sperimentate e non abbiate paura di sbagliare.

E io aggiungo, non dobbiamo avere paura di ammettere che il posto di lavoro in cui siamo e quello che stiamo facendo non sono giusti per noi. Diamo retta alla pancia e inneschiamo il cambiamento per ritrovarci e riconoscerci di nuovo.

Non avere paura di essere unica!

 

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