Compiacere gli/le altr* o essere se stess*? Alcune riflessioni sul people pleasing

In principio era il web

Qualche giorno fa ho lanciato una ricerca su Google con questo titolo: “perché le donne vogliono assecondare gli/le altri/e”. La maggior parte dei risultati che il web ha restituito in merito a questa affermazione, peraltro discutibile e priva di alcun fondamento, aveva a che fare con il concetto di relazione tossica, con il narcisismo come tratto distintivo di alcuni uomini e di come vada ad impattare i rapporti di coppia, con il fatto che le donne vengano sempre ritenute complicate, ma anche con l’elenco di cose che dovrebbero modificare per esercitare una maggiore influenza sugli/sulle altr* senza apparire frivole.

Insomma, l’idea di base che ha mosso la ricerca è stata una sorta di collegamento tra il concetto di “people pleasing” ed il fatto che le donne sembrano cadere più spesso nella dinamica comportamentale che le porta ad avere un atteggiamento di compiacimento nei confronti delle altre persone, legato alla volontà di voler piacere, oppure, alla volontà di “‘non voler dispiacere”’.

Forse Google asseconda questa constatazione assolutamente empirica, restituendo i risultati che io vorrei ottenere, oppure esiste un fondo di verità nell’idea che le donne siano un po’ più (o un po’tanto) delle people pleaser rispetto agli uomini?

Come sempre la questione non è semplice e va considerata da diversi punti di vista. 

Partendo dal principio: cosa significa essere un/una “people pleaser”? 

Il fenomeno del “people pleasing”

La traduzione di questa definizione rimanda sempre ad un dinamica relazionale, perché è proprio in relazione a qualcun altr*, proprio nel contesto di una cornice che costituisce una qualsivoglia forma di rapporto, che si manifesta un certo modo di porci e di comportarci nei confronti di un’altra o più persone. Questo modo potrebbe essere definito come un filtro, posto davanti alla nostra forma spontanea, dettata dal nostro modo di essere, di reagire nell’ambito di un’interazione.

Cosa è, di fatto, questo filtro che poniamo davanti a noi stess*? Si tratta di una maschera che ci fa sembrare divers* agli occhi degli/delle altr*, oppure è solo un modo per “smussare” lati del nostro carattere che potrebbero essere percepiti negativamente all’esterno?

Anche questa volta, la risposta sta nel mezzo: perché se da un lato, spesso, la motivazione di fondo di un comportamento da people pleaser è quella di edulcorare qualcosa dei nostri modi di pensare o di agire per renderlo, appunto, più piacevole agli occhi degli/delle altr*, dall’altro il risultato è proprio quello di non sembrare più noi stess* ma divers*, come una specie di caricatura del nostro carattere.

La volontà reale che c’è dietro questa forma di alterazione della personalità è proprio il fatto di voler piacere, o far piacere, agli/alle altr*, mostrandoci come loro ci vorrebbero. Perció diamo ragione all’opinione altrui anche se contrasta del tutto con le nostre idee, assecondiamo attraverso comportamenti che non ci appartengono determinate richieste da parte degli/delle altr*, indossiamo i vestiti che ci regalano, anche se in condizioni di normalità non li avremmo mai comprati, e nelle situazioni più gravi, ci lasciamo manipolare fino a farci ferire, fisicamente o psicologicamente.

Come è possibile che tutto questo accada? Come si arriva a subire le conseguenze di un tale modo di comportarsi nonostante le premesse siano quelle non di nuocere, anzi, di fare il bene degli/delle altr*?

Piacere… a chi?

Su questo mi sono interrogata spesso, parlandone con tante delle mie controparti femminili. Personalmente non ho mai avuto troppi problemi a dire di no e difficilmente mi sono posta il problema di dover piacere per forza agli/alle altr*, o di dover fare quello che altre persone mi dicevano di fare se non lo ritenevo coerente con il mio modo di essere o di pensare.

Detto questo, mi sono resa conto che tutto ciò non è così scontato. Mi sono resa conto che, invece, molto spesso è difficile non immedesimarsi nelle richieste o nelle necessità di un’altra persona, creando quel distacco necessario per chiedersi: “ok, ma io cosa voglio?”. 

Uniamo a questo il fatto che spesso il/la people pleaser si ritrova in questi panni quando si rapporta con una persona a lui/lei vicina, della quale è difficile non subire l’influenza, o che in un certo senso detiene una forma di “potere” nei suoi confronti (per quanto anche qui tale concetto sia discutibile, dato che implica quasi un nostro essere alla mercè di qualcun altr*).

Per questo, sia che si tratti un genitore, sia di un/una partner, sia di un/una amic*, sia del/della propri* cap* o di un/una cliente, non riusciamo a dire di no, perché ne va qualcosa di noi in quel rapporto; in particolare, ne va di come potremmo venire percepit* da loro, perché qualora non fossimo coerenti con le loro aspettative saremmo sbagliat*, saremmo, forse, tagliat* fuori dalle loro vite.

La vera natura del voler piacere per forza

Esiste, quindi, un nucleo di vulnerabilità in tutto questo, che non è quella forma di coraggio intrinseco in noi che emerge dai nostri sbagli in quanto esseri umani, alla Brenè Brown, ma è quel senso di smarrimento che coincide con il sentirsi “scopert*”, e fragili, perché siamo mess* a nudo davanti agli/alle altr* con tutti quei tratti troppo umani di noi stess* che peró non ci piacciono.

Presentata in questo modo, sembra quasi una doppia forma di abuso: abuso prima di sé stess*, perché ogni nostro volere e sentire si piega a quello che vogliono gli/le altr*, per sembrare una nostra versione “migliore”, ma abuso anche nei confronti delle altre persone, perché mentiamo fino a far credere loro di aver a che fare con una persona che non esiste.

Ritornando alla riflessione in apertura su questo tema, dopo tutto non sono sicura che si tratti di un problema di genere. 

Viviamo in un mondo in cui i canoni comportamentali e le caratteristiche psicologiche, le forme di umorismo e quelle di espressione verbale, i gusti, le mode e le esperienze, vengono codificate e stigmatizzate, diffuse e fatte proprie da tante persone che le vestono letteralmente.

Nonostante la retorica degli ultimi anni ci incentivi a credere che siamo tutt* divers* e ognun* deve essere fier* e liber* di essere quello che è, credo che sia solo una grande bugia e che la cultura in cui siamo immers* ci stia dimostrando esattamente il contrario.

Conclusione

Non sono sicura che ci siano più people pleaser donne che uomini, ma credo che il people pleasing sia un atteggiamento facile da riconoscere in tante persone perché la pressione a cui siamo sottopost* da un punto di vista socio-culturale ci faccia dubitare continuamente di noi stess*, alimentando sfiducia nella nostra personalità e nelle nostre capacità di piacere agli/alle altr* incondizionatamente, senza dover dimostrare nulla.

I risultati di Google mi fanno pensare a quanto fino ad ora non avessi mai pensato che fosse così difficile per alcune persone dire di no, o che fosse così scontato per alcune persone accettare tutto quello che viene detto dagli/dalle altr*, senza opporsi.

Non ne faccio una questione di genere, non ho mai realmente creduto che lo fosse, anche se ho provato a cercare un supporto alla mia tesi su Google, che peraltro non sembra effettivamente cogliere (come sempre) il fulcro del problema.

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