Di cosa è concesso parlare alle donne? Che cosa possiamo imparare da quello che succede ogni giorno sugli schermi di milioni di Americani.

Scritto da Mariasophia Falcone

Come linguista di recente ho condotto una ricerca sulle cable news (quei canali di notizie 24/7 sulla tv via cavo) negli Stati Uniti.  Canali come Fox News, CNN e MSNBC sono la prima fonte di notizie di politica per la maggior parte degli Americani, ma sono piuttosto conosciuti anche da questa parte dell’atlantico e non è difficile vedere video dei loro servizi condivisi sui nostri social.

Oltre ad essere esperta di linguistica, da un bel po’ di anni sono un’attivista politica con un bagaglio di esperienze poco piacevoli sull’essere donna in politica. Per questo, la mia ricerca è nata da una domanda che continuavo a pormi ogni volta che mi ritrovavo a conferenze, seminari e presentazioni: ma perché quando si parla di politica (e non solo), invitano sempre e solo uomini

E proprio da questa domanda è iniziata la mia avventura linguistica nella tv via cavo made in USA. A questo punto, occorre fare due precisazioni per i non-addetti ai lavori:

Dagli anni 70’, una parte della linguistica si è occupata delle differenze linguistiche tra uomo e donna, partendo da una scoperta fondamentale: ciò che le donne dicono, e il modo in cui lo dicono, riflette il loro posizionamento sociale. In poche parole, il loro stato di subordinazione rispetto all’uomo nella società occidentale spiega molte delle caratteristiche del loro modo di parlare.

Inoltre, un altro aspetto importante, derivante dal fatto che il modo di parlare dei due generi rispecchia la posizione che hanno nelle nostre società, è che quella che viene considerata la norma linguistica in contesti istituzionali è sempre modellata sul modo di parlare degli uomini. Ciò vuol dire che il modo di parlare che tutti noi, più o meno inconsciamente, reputiamo consono alla maggior parte dei contesti istituzionali, altro non è che un modo di parlare al maschile a cui però tutti gli altri devono per forza adattarsi o rischierebbero di apparire devianti rispetto alla norma. Sembrerebbe assurdo, ma è ancora così nonostante ci siano tantissime donne alla guida di governi e istituzioni internazionali.

Ad un certo punto, mi sono chiesta però se questa forma di sopraffazione linguistica non si esprima soltanto negli aspetti formali del linguaggio ma anche nel suo contenuto, e quindi se ci siano, in effetti, degli argomenti “da femmina” e argomenti “da maschio” anche in contesti istituzionali come può essere un programma di politica in prima serata, dove, in teoria, il genere dell’ospite non dovrebbe essere un fattore determinante.

Dopo ore infinite di filmati e oltre 90.000 parole, mi sono trovata davanti ad una vera e propria sperequazione lessicale: le domande che vengono poste alle donne, ovvero gli argomenti sui quali viene chiesto loro di esprimersi sia da giornalisti uomini che da giornaliste donne, è molto diverso da quello che viene chiesto agli uomini. Mi sono accorta, infatti, che agli uomini veniva chiesto sempre di argomenti politici rilevanti anche in situazioni alquanto imbarazzanti: si parla delle vicissitudini al limite del comico della presidenza Trump? Mi parli allora dei rischi per la nostra democrazia e per lo stato di diritto, chiedevano sempre i giornalisti.  Alle donne, invece, si chiedeva di giudizi sulle persone coinvolte nelle vicende quasi a voler fare del gossip, di tweet controversi o addirittura dei loro familiari coinvolti nelle vicende.

Oppure ancora, ciò che mi ha stupito più di tutto è che alcuni argomenti come la nomina di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema degli Stati Uniti, o vicende personali dell’ospite erano completamente assenti nelle domande rivolte agli uomini, anche nel caso in cui a porle fosse stata una giornalista donna, nonostante i programmi televisivi analizzati fossero andati in onda tutti nello stesso breve arco temporale. Se c’è bisogno di parlare di una nomina alla Corte Suprema, poiché è coinvolta anche un’accusa di violenza sessuale, per forza se ne parla solo con le donne. Ma la Corte Suprema non dovrebbe riguardare tutti i cittadini? Allo stesso modo, i politici di sesso maschile hanno anche loro una famiglia, perché non si chiede loro di parlare dei propri partner?

Ancora più illuminante è stato vedere come un argomento prettamente maschile poteva essere re-framed(ripresentato) secondo lo stereotipo di genere. Gli argomenti di politica estera o della difesa, per gli uomini venivano introdotti tramite domande che si riferivano alla diplomazia o alle relazioni internazionali; Alle donne veniva chiesto dei nostri ragazzi laggiù o di come si debbano proteggere le nostre comunità. Lo spostamento del focus dalle relazioni internazionali verso la necessità di protezione e del prendersi cura di è riconducibile allo stereotipo secondo il quale le donne devono avere per natura l’istinto materno e di protezione. Non ci sarebbe nulla di male nel presentare degli argomenti in chiave femminile, se non fosse che in politica la femminilità non è mai accettata e non è mai considerata vincente da un punto di vista comunicativo a causa della mancanza di modelli di leadership alternavi, i quali non possono svilupparsi se questi contesti continuano a non ammettere alternative a quello che loro considerano la norma.

Questo scatena il terribile quanto famoso double-bind (doppio vincolo): se sei una donna, i tuoi aspetti più femminili non funzionano in politica e non ti faranno vincere, però, se ti comporti in maniera diversa e non ti adatti alle aspettative stereotipate che abbiamo di te, non sei una persona di cui fidarsi e non avrai successo.

Forse alcuni ricorderanno le argomentazioni più famose mosse contro Hillary Clinton e ricorderanno come gli Americani non si fidassero di lei. Innumerevoli studi linguistici su Hillary Clinton, inclusi quelli che ho condotto personalmente negli anni, hanno evidenziato come la ex-Segretaria di Stato evitasse il linguaggio caratterizzato come femminile e ricorresse ad uno stile linguistico più maschile. Ed ecco spiegato perché l’americano medio non riuscisse a fidarsi della Clinton: il double-bind.

Una divisione così netta degli argomenti presentati nella televisione di attualità, ha delle conseguenze preoccupanti. È un dato di fatto che la tv con le sue immagini e messaggi ha una forte influenza sulla nostra visione del mondo e di noi stessi. Per questo, se fin dall’infanzia vediamo solo un modello stereotipato di donna, col tempo ci convinceremo che quella sarà l’unica possibilità che è concessa al nostro essere donne. La conseguenza è che ci ritroveremo incredibilmente limitate nelle nostre scelte di vita: se vediamo donne parlare solo di immigrazione, sarà più difficile intervenire al quel dibattito sull’Eurozona; se vediamo solo donne umaniste, sarà più difficile diventare scienziate.

Non bastano allora le Samantha Cristoforetti, le Jacinda Arden, le Christine Lagarde, non basta partire dall’apice quando il cambiamento viene ostacolato già dal basso.Bisogna partire perciò dalle noi di tutti i giorni, ricordandoci sempre che possiamo essere e dire tutto quello che vogliamo. E se la prossima volta avete la stessa sensazione che ho avuto io e sentite che per certi argomenti si fanno parlare solo gli uomini, fidatevi del vostro istinto, perché questa volta ve lo dice una linguista.

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