Le “quote di genere” in Italia: la disciplina e i principi

A cura di Maria Oliva

La parità di genere è un valore fondante dell’ordinamento giuridico italiano e dell’Unione Europea, eppure costituisce un obiettivo ben lungi dall’essere raggiunto.

In base alle stime dello European Institute for Gender Equality (“EIGE”), per la piena realizzazione della parità in Europa occorrerà aspettare 60 anni, mentre, secondo il World Economic Forum (“WEF”), gli anni di attesa salgono a 132 per il raggiungimento di tale obiettivo nel resto del mondo.

Non stupisce, quindi, che, secondo l’indagine condotta nel giugno 2022 dall’EIGE sulle principali società quotate in borsa dell’Unione Europea, le donne, pur rappresentando circa il 60% di nuov* laureat* nell’Unione, risultano visibilmente sottorappresentate nei processi decisionali in ambito economico, in particolare al livello apicale, annoverando una percentuale del 31.5% tra i/le componenti degli organi amministrativi e addirittura un esiguo 8% tra i/le presidenti dei consigli di amministrazione di società quotate.

Non va meglio in politica dove, in base alle ultime misurazioni del WEF, si registra una quota media globale di parlamentari donne pari al 22.9% e una percentuale di ministre pari al 16.1%.

Se incoraggiare la partecipazione femminile al mercato del lavoro è (ancora) un’azione prioritaria per favorire l’equilibrio di genere, le attuali sfide dell’inclusione della diversità di genere traguardano il conseguimento della parità nelle posizioni manageriali, di leadership e apicali di società e istituzioni.

Venendo all’Italia, a distanza di oltre dieci anni dall’emanazione della c.d. legge “Golfo-Mosca”, normativa nazionale di riferimento in materia di “quote di genere” e a seguito dell’adozione di riserve di quote in ambito politico-istituzionale, è possibile tracciare un quadro delle tutele accordate all’equilibrio di genere nelle aziende private e nelle istituzioni, per valutarne l’impatto e misurarne successi e criticità.

Gender gap: la situazione italiana in cifre

Nella graduatoria stilata nel 2022 dal “Global Gender Gap Index”, report pubblicato dal WEF che misura su scala globale il divario di genere, l’Italia si colloca, dal 2021, al sessantatreesimo posto tra i 146 Paesi analizzati, posizionandosi al quarantesimo posto nel segmento “political empowerment” e al centodecimo posto per “opportunità e partecipazione economica”.

Analogamente, il rapporto elaborato nel 2022 dall’EIGE, che mette a confronto il livello di eguaglianza di genere raggiunto su scala europea nei sei ambiti o domini-chiave sinora monitorati (“potere”, “tempo”, “conoscenza”, “salute”, “denaro” e “lavoro”), colloca l’Italia alla quindicesima posizione, con un indice di 65 punti su 100, inferiore rispetto alla media dei Paesi membri dell’Unione di 3.6 punti, registrando peraltro la peggior performance dell’area UE nell’eguaglianza di genere sul lavoro (63.2 punti su 100).

I risultati riportati dall’EIGE e basati sui dati raccolti nel 2020 evidenziano, per la prima volta dall’istituzione dall’indice europeo, una generale diminuzione, a causa della pandemia da COVID-19, dei punteggi dei Paesi membri nei principali parametri considerati, ad eccezione del dominio “potere”, che mostra un incremento della presenza femminile nei processi decisionali economici e politici, supportato dall’introduzione di normative nazionali in materia di “quote di genere”.

A riprova di ciò, come mostra l’annuale rapporto CONSOB sulla corporate governance, la presenza di donne negli organi di amministrazione delle società quotate italiane è passata dal 7.4% del 2011 al massimo storico del 41% del 2021, e similmente negli organi di controllo. Il dato conferma, pertanto, una tendenziale crescita costante della partecipazione femminile nel settore analizzato, per effetto della legge n. 120/2011 (meglio nota come legge “Golfo-Mosca”, così definita dal nome delle parlamentari proponenti).

Le “quote di genere” nel cammino dalla gender equality alla gender equity

La legge “Golfo-Mosca”: presupposti e ambito di applicazione

Per ovviare alla condizione di marcata sottorappresentazione del genere femminile, il Legislatore è intervenuto con la legge n. 120/2011 (c.d. legge “Golfo-Mosca”), che ha modificato alcune previsioni del Testo Unico sulla Finanza, per garantire la parità di accesso agli organi sociali delle società italiane con azioni quotate su mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell’Unione Europea e delle società italiane non quotate a controllo pubblico.

Frutto di un’iniziativa politica bipartisan e tra le prime regolamentazioni europee sul tema, la legge “Golfo-Mosca” si fonda sul principio del bilanciamento di genere, tale per cui il riparto dei/delle component* degli organi sociali da eleggere, deve essere effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi, prevedendo la gradualità applicativa delle disposizioni e un apparato sanzionatorio in ipotesi di violazioni.

Tale provvedimento ha reso necessario l’adeguamento degli statuti societari, per definire le modalità di formazione delle liste e disciplinare i casi di sostituzione dei/delle component* elett* in corso di mandato, consentendo al genere meno rappresentato di ottenere una quota rappresentativa e di mantenerla inalterata in occasione di eventuali avvicendamenti nelle cariche sociali.

In particolare, a seguito degli ultimi interventi legislativi, la riserva di quote negli organi amministrativi in favore del genere meno rappresentato, originariamente prevista dalla legge “Golfo-Mosca”, è stata innalzata ad almeno due quinti (40%) e la sua applicazione è stata estesa nel tempo a sei mandati consecutivi, a partire dal primo rinnovo delle cariche sociali successivo all’1 gennaio 2020.

In definitiva, la legge non prevede una riserva di quote in favore del genere femminile (motivo per il quale riferirsi a “quote rosa” è erroneo, oltreché storicamente e concettualmente discutibile), bensì un meccanismo temporaneo e neutrale di bilanciamento della presenza dei generi nella composizione degli organi di governo di società, in cui l’interesse al genere è stato ritenuto meritevole di particolare tutela.

La legge elettorale (c.d. “Rosatellum bis”): il perimetro

L’esigenza di rafforzare la rappresentanza di genere è stata avvertita anche in politica, tradizionale roccaforte della diseguaglianza di genere.
Dopo alcuni esperimenti diretti ad operare forme di riequilibrio della presenza di genere su base volontaria nella composizione delle liste elettorali, la legge n. 165/2017 (c.d. legge “Rosato”, dal nome del suo relatore, meglio nota come “Rosatellum bis”) ha accolto il principio di tutela della diversità di genere.

In particolare, per l’elezione di deputat* e senatori/senatrici la normativa prevede una formula elettorale mista, in cui il 37% dei seggi è assegnato con sistema maggioritario nei collegi uninominali, nei quali è elett* il/la candidat* più votat*; il 61% dei seggi è assegnato con sistema proporzionale nei collegi plurinominali, nei quali i seggi sono proporzionalmente ripartiti tra coalizioni e liste che abbiano superato le soglie di sbarramento; il restante 2% dei seggi è invece assegnato mediante sistema proporzionale con voto di preferenza, da parte degli italiani che esercitano diritto di voto all’estero.

Applicato nelle ultime due tornate elettorali, per quanto concerne l’equilibrio di genere, il Rosatellum bis prevede che:
● nei collegi uninominali, in ogni lista o coalizione, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%;
● nei collegi plurinominali, in ogni lista, nessuno dei due generi può essere rappresentato come capolista in misura superiore al 60%;
● nei collegi plurinominali, i/le candidat* devono essere collocat* in lista secondo un ordine alternato di genere.

Legittimità e ragionevolezza delle “quote di genere”

Il carattere “interventista” delle leggi esaminate nei paragrafi precedenti ha stimolato negli anni la riflessione sullo strumento delle “quote di genere” in relazione a possibili esternalità negative o punti di frizione con alcune libertà costituzionali.

La principale critica rivolta alle politiche di genere riguarda il rischio che l’imposizione di “quote di risultato” nel processo di formazione degli organi societari e delle assemblee elettive possa alimentare pratiche di selezione coercitive e presunte distorsioni di segno opposto nell’accesso agli incarichi di vertice e alle cariche istituzionali, per via dell’apparente distacco dal criterio del “merito” individuale: queste obiezioni non sono però confermate dall’analisi normativa ed empirica.

Quali sono, dunque, i fondamenti di legittimità e ragionevolezza a supporto della normativa di genere?

Gli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione Europea menzionano la parità tra i valori fondamentali dell’Unione, che ne deve assicurare l’osservanza in tutte le sue attività, mentre l’articolo 8 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ne garantisce la promozione.
Forte di tali valori, già nella comunicazione del 2010 relativa alla “Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015”, la Commissione Europea aveva invitato all’avvio di azioni di miglioramento della parità di genere nei processi decisionali, mediante politiche a sostegno della partecipazione femminile nei ruoli direttivi delle aziende quotate dell’Unione e nelle candidature al Parlamento Europeo; in questo contesto, l’adozione di raccomandazioni o di altri atti di natura non vincolante, è stata ritenuta implicitamente insufficiente per scardinare le diseguaglianze di genere e perseguire i valori dell’Unione. Peraltro, la finalità di riequilibrio della presenza di genere è stata riconosciuta in linea anche con i valori costituzionali di parità formale sul lavoro (articolo 37 della Costituzione), utilità sociale (articolo 41, commi 2 e 3, della Costituzione), pari opportunità di genere nella rappresentanza politica e istituzionale (articoli 51, comma 1 e 117, comma 7, della Costituzione) e uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, della Costituzione), principio fondamentale in cui la disciplina trova giustificazione e a cui dà attuazione.

Infatti, la riserva di “quote di genere” concretizza un intervento pubblico attivo, volto a porre rimedio a situazioni di cronico squilibrio, riscontrate di fatto nella società a causa di bias di genere legati alla divisione sessuale del lavoro e alla storica ripartizione delle sfere pubbliche e private tra i generi, che precludono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione effettiva del genere meno rappresentato all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

In questo contesto, le “quote di genere” non violano le libertà fondamentali ma, per un verso, dirigono l’iniziativa economica privata nel senso dell’utilità sociale e, per l’altro verso, indirizzano l’offerta politica in senso più egualitario, proponendosi invece come modello di azioni positive (cfr. art. 42 del “Codice delle pari opportunità”), ossia misure tese a rimuovere gli ostacoli che impediscono la concreta realizzazione di pari opportunità nella vita lavorativa e nella progressione di carriera.

L’intervento pubblico, in questo caso, risulta anche nel complesso ragionevole e coerente col perseguimento di una più equilibrata rappresentanza di genere, tenendo conto dei criteri di proporzionalità e necessità.

Il meccanismo di rappresentanza di genere prevede, infatti, il bilanciamento del principio di parità con altri diritti o interessi costituzionalmente protetti e impone a questi ultimi la minore compressione possibile in termini di ambito applicativo, di limite rappresentativo e di durata (nel caso della legge “Golfo-Mosca”).

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Per quanto concerne gli effetti delle politiche di genere sinora attuate, vi rimandiamo a un successivo articolo, nel quale saranno analizzati i punti di forza e le aree di miglioramento della disciplina, con uno sguardo allo sviluppo inclusivo, in una prospettiva internazionale.
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Fonti dei dati
https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2022/compare-countries/index/bar
https://www.weforum.org/reports/global-gender-gap-report-2022/
https://www.consob.it/web/area-pubblica/rapporto-sulla-corporate-governance
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2011/07/28/011G0161/sg
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/12/30/19G00165/sg
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/11/18/21G00175/sg
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/11/11/17G00175/sg
https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02/DOC_1&format=PDF
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012E/TXT
https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglio/codici/pariOpportunita

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